Fra i molti conflitti che hanno animato di ultimi anni, un posto particolare per importanza, influenza internazionale e gravità dei fatti, spetta alla guerra Siriaca. Iniziata nel 2011, in equilibrio fa autodeterminazione araba di minoranza, curda e guerra di massa al cosiddetto Califfato Islamico dell’Isis, sì è successivamente trasformata in un conflitto di difficile risoluzione ed ancora non terminato.

Vediamo quindi di mettere ordine in questo difficile e intricato panorama bellico.

In 8 anni il conflitto siriaco è stato in grado di causare una recessione senza precedenti concretamente analizzabile in danni economici per 400 miliardi di dollari. Tutto questo significa, per un paese come la Siria, un danno totale tale da essere riconducibile ad una recessione di 30 anni. Esattamente come accade fra il 1979 e il 1989 durante la guerra in Afghanistan.

Il conflitto siriaco è stato l’ultima manifestazione di fervente autodeterminazione di un popolo. L’ ultimo fenomeno di primavera araba.

Un conflitto dettato dall’imposizione del potere centrale siriaco,condizionato dall’utilizzo di armi chimiche come il grave attacco di Ghuta del 21 agosto del 2013 con 635 morti civili, il massiccio uso di missili terra aria e terra terra.

Fra i destinatari di questo epocale cambiamento vi sono i curdi.

Il popolo,o per meglio dire, l’etnia curda è antica. Discendente dagli antichi popoli del Khorasan, è stata soggetta al potere assiro, babilonese quindi dopo i vari passaggi storici è terminata nel mondo arabo. Oggi si trova frammentata, priva e sottratta ad uno stato unitario. Sottratto, esso,dagli europei che, col trattato di Sevres del 1919,al termine della Prima Guerra Mondiale avevano promesso la nascita di uno stato sovrano curdo, una promessa e un diritto successivamente traditi. Una vicenda che ha trasformato i curdi in esuli, sparsi fra 20 stati asiatici, stretti fra le spire di un destino meno sagace di quello di altre etnie. Etnie oggi potenti e sovrane.

I curdi hanno avuto un’influenza preponderante nel combattere il califfato e le loro campagne di attacco, tramite i successi militari, hanno permesso la riconquista di ampie porzioni di territorio in Iraq, in Siria. Il loro aiuto ha permesso al governo siriaco, alla Turchia e agli Stati Uniti di riprendere possesso delle zone determinate dal potere del califfato.

Oggi siamo di fronte ad un popolo abbandonato: i guerrieri Peshmerga sono stati confinati in una realtà ingiusta e sconsiderata, sono stati dimenticati dai loro alleati. Gli Stati Uniti hanno preferito, una volta eliminato il cataclisma dell’Isis, abbandonare il territorio, lasciando solamente le macerie, la povertà, la nullità di una terra distrutta, devastata e senza possibilità di guadagno. La Siria e il suo governo, alle prese tutt’ora con i focolai di ribelli anti-regime, si trova concorde alla Turchia che teme un autodeterminazione curda e conseguentemente una perdita di influenza su quelle terre che i curdi legittimano come loro. La Turchia non può permettersi nello scacchiere medio-orientale una perdita di influenza o infine di territori.

I 25’000 morti curdi,i combattenti uccisi, illuminati dai riflettori mediatici di tutto il mondo, non sono bastati per rendere giustizia a questo popolo tutt’ora apolide, privo di uno stato e di un’area geografica sovrane e perfino non in grado di legittimare la propria storia, la propria identità e la propria etnia.

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