“Il carcere a vita non è la soluzione, ma il problema da risolvere”

Illustrazione di Maria Carolina Gasco

LA DISUMANIZZAZIONE DEL DETENUTO

L’articolo 27 della nostra Costituzione parla chiaro : “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.
Il carcere non dovrebbe esistere come luogo di esclusione definitiva dei condannati dalla società.
Il suo obiettivo è il futuro reinserimento del detenuto nella vita sociale, reso possibile dal periodo di reclusione.
A questo scopo la vita in carcere dovrebbe essere contrassegnata da iniziative che consentano al condannato di recuperare un sano rapporto con se stesso e con gli altri.
Eppure ,com’è tristemente noto, le scarse risorse riservate al sistema penitenziario , unite agli effetti prodotti da una concezione vendicativa della pena ,ancora troppo diffusa tra molti di coloro che gravitano attorno a tale sistema e fuori , trasformano quella del carcere in un ‘esperienza disumanizzante.
Il detenuto perde lo status di persona e diventa una massa informe e anonima. Privato del proprio tessuto relazionale, è costretto a una convivenza forzata e promiscua con gli altri detenuti, vissuta come una forma di contaminazione fisica : le condizioni di sovraffollamento gli impediscono di avere uno spazio proprio e il condannato vede progressivamente annullarsi i contorni del proprio sé.
La perdita di riferimenti spazio-temporali acuisce lo squilibrio psico-emotivo e lo stato di alienazione del carcerato.
Non esiste più alcun tempo al di fuori di quell’eterno presente mortificante ,segnato dai ritmi della vita carceraria, a cui il reo è costantemente sottoposto. Negli anni della reclusione il condannato subisce così un deterioramento fisico e psicologico devastante e irreversibile.
Come potrà al termine della pena reinserirsi in quella società che prima l’ha rifiutato? Che si è dimenticata di lui e l’ha buttato via?
Tutti questi aspetti si ritrovano negli ergastolani ,ulteriormente esacerbati dall’impossibilità di anche solo provare a immaginare una prospettiva futura. L’esistenza per loro perde così di significato e cessa di essere tale.

PENA FINO ALLA MORTE

Pena di morte o morte per la vita : quale reale differenza esiste ? Non è forse la seconda ancora più degradante della prima ,data la sua continuità nel tempo ?
Come può una tale misura essere giudicata conforme non solo ai principi costituzionali, ma anche alle tante Carte internazionali di tutela dei diritti dell’uomo ?
Non sono forse diritti umani i diritti dei detenuti?
Occorre inoltre chiarire ,come spiegato esaustivamente nel libro “Contro gli ergastoli” (a cura di S. Anastasia, Corleone, Pugiotto ed edito da Futura/Ediesse) che esistono diversi tipi di ergastoli.
Di questi il più duro è il cosiddetto “ergastolo ostativo”, che impedisce già in partenza al detenuto di ottenere qualsiasi sconto della pena o beneficio penitenziario. Quando venne introdotto nell’ordinamento nel 1991/92 era stato concepito nell’ambito di una normativa d’emergenza che aveva l’obiettivo di fermare le stragi mafiose.
Ma da allora l’inasprito art 4 bis ord. pen. è divenuto è una sorta di “norma contenitore” a cui possono essere ora ricondotti una molteplicità di crimini che esulano dagli originali (associazione di tipo mafioso e terrorismo principalmente).
In questo quadro l’unica via d’uscita offerta all’ergastolano è la collaborazione con la giustizia : se il mafioso denuncia i suoi ex compagni può ottenere in cambio dei benefici.
E’ la strada scelta da molti criminali negli anni, le cui rivelazioni hanno portato a significative svolte nelle indagini ( si pensi a quanto rivelò Tommaso Buscetta a Giovanni Falcone , uno dei primi collaboratori di giustizia, portando all’istituzione del Maxi-processo di Palermo).
Ma i giuristi hanno più volte sottolineato come questa non sia una vera e proprio scelta per i detenuti, perché comporta la messa a rischio della propria vita o di quella della propria famiglia nel caso di eventuali ritorsioni da parte dei boss denunciati.

QUALCHE SEGNALE DI SPERANZA

Per prima è intervenuta la Corte di Strasburgo, che ,con la sentenza del 13 giugno del 2019 del caso Marcello Viola c.Italia, ha dichiarato l’illegittimità dell’ergastolo ostativo.
Poi è stata la volta della Corte Costituzionale. Con l’ordinanza n.97 del maggio del 2021 la Corte ha reso noto che:

” La collaborazione non può essere l’unica via per accedere alla liberazione condizionale, ma spetta al Parlamento individuare delle alternative”.

Una risposta alquanto mite, decisamente poco coraggiosa quella di rimandare la decisione al parlamento, considerando i tempi lunghi e i delicati equilibri della politica. A più di un anno di distanza infatti non è stato decretato nulla di definitivo.
Eppure finalmente dopo tanto tempo si registrano alcuni segnali di speranza. Non resta che confidare nelle future legislature.

NoSignal Magazine

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1 Comment

  1. […] nessun corso, senza nessun aiuto. Anche l’ascolto dei pentiti ha avuto una funzione importante. Falcone con Buscetta ha svolto un lavoro mai visto prima. Si conoscevano già da prima, entrambi provengono […]

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