Gli uomini spesso riflettono i lori stati d’animo e il loro essere su di un foglio di carta. Ma quando ciò diventa realmente un bisogno?
Personalmente la ricerca più assidua di carta e penna l’ho riscontrata nei momenti più complicati della mia vita. Proprio alla luce di questa mia riflessione l’altro giorno iniziai a leggere le lettere dell’Onorevole Moro partendo proprio dall’ultima.
Ma chi era Aldo Moro?
Facciamo una digressione per capire i contesti delle lettere che andremo a prendere in esame. L’Onorevole Aldo Moro era il presidente della Democrazia Cristiana (da ora utilizzeremo l’abbreviazione DC). Nel 1978 Moro venne rapito da una cellula terroristica italiana: Le Brigate Rosse (BR). Le Brigate rapirono l’Onorevole poiché idealizzavano una dittatura del proletariato che, per spiegarlo a parole semplici consisteva in una presa di potere da parte del “Popolo armato”. Moro era infatti una figura di spicco del panorama politico italiano essendo a tutti gli effetti un innovatore e l’ideatore concettuale del “compromesso storico”, che vedeva il PCI e la DC collaborare per gli interessi nazionali.
Dopo il rapimento in via Fani, Aldo Moro venne rinchiuso e il suo unico modo di comunicare con l’esterno erano le famigerate lettere. Ne scrisse diverse, precisamente 97 con una frequenza crescente man mano che i giorni di prigionia aumentavano. E’ quindi lecito chiedersi; Per Moro scrivere era diventata una necessità?
Difficile rispondere su due piedi senza analizzare l’evoluzione della sua scrittura nei 55 giorni di prigionia. Già dando un’occhiata veloce evinciamo che la scrittura di Moro in senso prettamente grafico migliora con l’avanzare dei giorni proprio a testimoniarci l’impellente bisogno comunicativo, il bisogno di scrivere nel mondo più limpido e leggibile possibile. In senso più strettamente contenutistico tutte le lettere contengono parole di gran valore emotivo, persino quelle con connotazioni politiche dove l’Onorevole rimane saldo nel suo orgoglio come individuo.
Ma analizziamo qualche passo degli scritti di Moro per capirne ancora di più.
Le lettere di Aldo Moro
L’Onorevole inviò lettere sia ai parenti che ai membri del proprio partito, al Presidente Andreotti e perfino al Papa Enrico VI. I registri verbali sempre impeccabili accompagnavano riflessioni, richieste e considerazioni sul da farsi.
Nella lettera del 29 aprile Moro scrive al Presidente Andreotti, cito testualmente:
Caro presidente,
so bene che ormai il problema, nelle sue massime componenti, è nelle tue mani e tu ne porti altissima responsabilità. Non sto a descriverti la mia condizione e le mie prospettive. Posso solo dirti la mia certezza che questa nuova fase politica, se comincia con un bagno di sangue e specie in contraddizione con un chiaro orientamento umanitario dei socialisti, non è apportatrice di bene né per il Paese né per il Governo.
Qui Moro denota la chiara responsabilità, da lui definita altissima e il potere decisionale che versa nelle mani di Andreotti. Il piano comunicativo che quindi Moro assume nei confronti del Presidente è velatamente “accusatorio”. Interessante come Moro utilizzi l’espressione “Nuova fase politica” ad evidenziare il compromesso come portatore di nuovi valori ai quali poi, si rifà per sottolineare il contraddittorio comportamento degli uomini di stato.
Quel che posso fare,
presenti circostanze, è di beneaugurare al tuo sforzo e seguirlo con simpatia sulla base di una decisione che esprima il tuo spirito umanitario, il tuo animo fraterno, il tuo rispetto per la mia disgraziata famiglia.
Ancora una volta si fa riferimento ai valori umanitari e fraterni che contraddistinguevano la DC. E’ infatti doveroso ricordarci che l’Onorevole era un uomo molto devoto alla dottrina cattolica e spesso, nelle sue lettere utilizza espressioni come: “che iddio t’illumini” o ancora “Sia fatta la volontà di Dio”.
E’ straordinario come infatti Moro non perda mai la sua fede appellandosi sempre all’illuminazione e alla guida divina come oggetto che facesse, in gran parte, da tramite per raggiungere la sensibilità delle persone, lo spirito fraterno più puro.
La questione familiare
Ancora più frequenti sono le preoccupazioni dell’Onorevole in merito alla condizione della sua famiglia.
Difatti in molti punti definisce la sua famiglia “disgraziata”, a sottolineare l’impeto di un evento così tragico e ancora una volta per richiamare il valore umanitario, sempre con dignità e mai come forma pietosa di espressione.
Nella lettera al Presidente della camera Pietro Ingrao Moro si appella, sperando un pronto ritorno a casa così:
Lo faccio nello spirito di tanti anni di colleganza parlamentare, per scongiurarla di adoperarsi, nei modi più opportuni, affinché sia avviata con le adeguate garanzie,
un’equa trattativa umanitaria, che consenta di procedere ad uno scambio di prigionieri politici ed a me di tornare in seno alla famiglia che ha grave ed urgente bisogno di me.
Qui vediamo le preoccupazioni di un uomo nel senso più puro e concreto, che già abbandonato richiama ancora quell’umanità e quel bisogno di casa. Quel bisogno di “tornare in seno alla famiglia” che ha grave ed urgente bisogno di lui. Ciò quindi ci rende a conoscenza dei veri bisogni dell’Onorevole: tornare a vestire il ruolo di “padre”.
Menzionare l’ultima lettera, riferita alla moglie è obbligatorio. Il trionfo delle forme metriche e l’espressione ultima dell’amore che contrasta con più forza morte e paura , rendono Moro per qualche istante forse più poeta che politico. Allego di seguito un link per la lettura: https://libreriamo.it/storie/lettere/la-lettera-damore-che-aldo-moro-scrisse-alla-moglie-prima-di-morire/
L’abbandono
I[o] non desidero intorno a me, lo ripeto, gli uomini del potere. Voglio vicino a me coloro che mi hanno amato davvero e continueranno ad amarmi e pregare per me. Se tutto questo è deciso, sia fatta la volontà di Dio.
Ma nessun responsabile si nasconda dietro l’adempimento di un presunto dovere. Le cose saranno chiare, saranno chiare presto.
Alla luce di quanto emerge da questo passo di una delle sue lettere, Moro era ben cosciente di essere stato abbandonato eppure continuò con vigore a scrivere. “Le cose saranno chiare presto”, e lo scrive un uomo che forse le cose le aveva ben chiare fin dall’inizio. Ma allora perché Moro continua a scrivere in quelle condizioni?
Ritengo personalmente che la voglia di comunicare sia più elevata al crescere delle disambiguità che la vita ci propone, la scrittura che assottiglia e lancia contro chi legge un chiaro messaggio: Il desiderio di vita. L’onorevole dedica tutti i suoi ultimi pensieri alla famiglia e continua dignitosamente a desiderare di vivere, senza mai perdere la sua fede e il suo orgoglio che, il più delle volte per molti uomini hanno un significato che trascende l’atto di respirare e arriva alla vera essenza del “vivere”.
Ebbene io credo che Moro viva anche oggi grazie a ciò che ha scritto, ma non come politico bensì come uomo che non ha mai rinnegato ciò per cui ha vissuto.
Ormai collaborare con Matteo è un piacere, talento e intesa hanno partorito questa illustrazione che, incarna la condizione in cui Moro scriveva le sue lettere. Dettaglio interessante aggiunto da Matteo è quello della sigaretta e infatti, seppur l’Onorevole non fosse un assiduo fumatore l’analisi forense rilevò un alto tasso di nicotina presente nel suo sangue.