Non ricordo di aver mai visto tanti ventagli come quest’anno al Festival della TV e dei Nuovi Media qui a Dogliani. Poi ricordo tristemente che siamo ormai a settembre, agli sgoccioli di un’estate atipica che ci porteremo dentro per il resto della vita. L’evento di punta che noi di Tangram Magazine seguiamo ormai da 5 anni si è dovuto riadattare, i celebri gazebo nelle due piazze principali hanno lasciato spazio alle sedie distanziate all’aperto, in mezzo a sguardi straniti ed espressioni vacue. Normale aspettarselo, dopo 6 mesi di anormalità standardizzata. Ma una volta superati l’impatto della temperatura e il gel antibatterico che lascia le impronte sul pc, mi sventolo in faccia il volantino del programma e mi appresto ad ascoltare il presentatore TV dell’anno, Amadeus (con l’avvento del coronavirus, c’è da dire che ha vinto facile a sto giro, ma tant’è), intervistato da Aldo Cazzullo, uno degli evergreen qui al Festival di Dogliani.

A partire dal tuo vero nome, Amedeo Sebastiani, vorremmo sapere qualcosa in più di te. Sei del ’62, qual è il tuo primo ricordo privato e pubblico?

Come ricordo collettivo sicuramente lo sbarco sulla luna. Mi trovavo a La Spezia e lo seguii in diretta, da lì probabilmente nacque la passione per i grandi eventi in televisione. Avendo girato fin da piccolo l’Italia, sul piano personale ho parecchi ricordi su e giù per lo stivale, difficile ricordare i primi in assoluto.

A proposito di eventi televisivi, noi siamo abituati a vederti la sera nel programma I Soliti Ignoti. Tutti gli strati sociali, da nord a sud, si identificano molto in questo programma, oltretutto è molto complicato da gestire, si parla del mestiere e dello status delle persone, questo richiede grande rispetto per le persone che hai davanti. Qual è il segreto di questo format?

Innanzitutto il rispetto viene al primo posto, per me come per i miei colleghi. C’è l’ironia, ma mai l’intento di metterli in imbarazzo. In genere i concorrenti non fanno televisione di mestiere, bisogna sempre cercare di metterli a proprio agio. Non c’è un vero segreto, semplicemente con il tempo è diventata una trasmissione nazionalpopolare, che per me non è un termine dispregiativo, anzi. Questo secondo me è il più grande successo.

Tu hai cominciato da giovanissimo, ma studiavi anche da geometra all’epoca. Com’era l’Amadeus studente?

Era uno che studiava per accontentare i genitori. In realtà fin da ragazzino volevo fare il presentatore, all’epoca ero visto come un pazzo, rispetto ad altri mestieri non c’erano raccomandazioni, niente parenti in Rai ecc… così presi quel famoso pezzo di carta tanto per fare, e anche la commissione d’esame alla maturità se n’è accorta subito…

Uscito da lì, sei andato a Radio Deejay…

Sono stato in molte radio piccole, dopodichè feci un provino per Radio Deejay e venni preso da Claudio Cecchetto, da lì in poi cominciò il mio percorso. Ma tutto nacque da Vittorio Salvetti, il patron…

Ho letto che hai dovuto aspettarlo per sei ore nella hall di un albergo…

Mi presentai a lui in un albergo a Verona durante la finale del Festivalbar, spiegando che volevo fare il presentatore, lui ovviamente non mi conosceva e mi disse che avremmo parlato dopo. Alla fine scese dalla sua camera sei ore dopo, ma io ero già un tipo testardo all’epoca. Fu sorpreso di vedermi ancora lì, così mi invitò ad andare con lui all’Arena di Verona e lì mi presentò Cecchetto.

Com’era Cecchetto?

Uguale ad ora. Ai tempi la sua era una radio in crescita, da Milano si sentiva solamente fino a Monza. Per me l’importante era fare allenamento, il mio vero obiettivo è sempre stato la televisione, e Radio Deejay era l’unica ad avere una componente TV. Arrivammo tutti in quel periodo, c’era già Gerry Scotti, poi vennero Fiorello, Jovanotti, gli 883…

E Jovanotti com’era, invece?

Incredibile. Era uno dei primi rapper italiani, all’epoca non esistevano. Io cominciai proprio con lui nel programma 1,2,3, Jovanotti, era il 1988. Dovevo solo presentarlo nel giro di dieci secondi, ma stravolse completamente la mia vita.

Ti chiamavi già “Amadeus”?

Certo, dal momento in cui incontrai Cecchetto. Fu sua l’idea, anche se all’inizio non ne fui proprio felice…

E poi c’era Fiorello…

Beh, ci accorgemmo fin da subito che era un fuoriclasse assoluto, geniale a modo suo. Diventammo subito amici, forse perché ci completavamo.

Tu sei anche un inventore di programmi, L’Eredità per come la conosciamo l’hai inventata tu in Italia.

Sì, io parlai all’epoca con il direttore di Rai 1 Fabrizio del Noce, dicendogli che si doveva trovare un format preserale in grado di contrastare Passaparola di Gerry Scotti su Canale 5. Visionai centinaia di format nel mondo, e un giorno a teatro incontrai Giorgio Gori (sindaco di Bergamo, ndr), grande uomo di televisione, fondatore di Magnolia. Mi fece vedere un format argentino, ne rimasi colpito, così insieme a Stefano Santucci decidemmo di puntarci tutto. Fortunatamente funziona ancora oggi.

In mezzo a una carriera di straordinari successi hai avuto anche un momento buio intorno al 2006, quando il telefono smise di suonare. Come ci si sente in quel momento?

Ovviamente male, nel nostro lavoro non ci sono certezze. Come nel calcio, quando un giocatore prolifico cambia squadra pensando di fare la differenza a prescindere dal contesto, può andare incontro a grandi difficoltà e imprevisti. Per me il passaggio dalla Rai a Mediaset è stato terribile, ma per fortuna la mia famiglia mi è stata vicino. In quei momenti bisogna avere autostima e sapere quanto si vale. Dentro di me avevo l’obbligo di riscattarmi, a partire dal ritorno in Rai con Mezzogiorno In Famiglia. Da lì a sette anni arrivò Reazione a Catena e nel giro di quattro anni I Soliti Ignoti, tornai finalmente al preserale quotidiano, che per me è la gioia più grande.

In un’intervista con Renato Franco hai raccontato di essere spavaldo in pubblico, e timido nella vita privata. Cosa che non si direbbe…

Io sarei decisamente più imbarazzato se oggi ad ascoltarmi ci fossero solamente cinque persone, mi esalto con il grande pubblico, a prescindere dalle occasioni.

Solitamente per i comuni mortali è il contrario!

Per me è l’esatto contrario, quando è partita la prima sigla della prima puntata di Sanremo, io stavo scherzando con i tecnici Rai nel backstage. Ho sognato Sanremo per tutta la vita e in quel momento ero felice e rilassato, mi sentivo a casa; un po’ come il raccattapalle che sogna tutta la vita di giocare in nazionale.

A proposito di calcio, da tifoso quale sei, te la ricordi la grande Inter?

Me ne innamorai da ragazzino, ho visto giocare Mazzola, Facchetti… Ho pure chiamato mio figlio Josè come Mourinho!

A Sanremo, per metà, hai indossato la maglia della Juve davanti a Ronaldo…

Come dico sempre, ci sono determinati giocatori come Ronaldo che appartengono al calcio intero, sono grande tifoso dell’Inter come dei grandi campioni in generale, non importa quale maglia indossano.

Tornando a Sanremo, il grande successo di quest’anno non era così scontato, alla fine i fatti ti hanno dato ragione. Da presentatore e direttore artistico, come hai scelto le canzoni?

Sanremo è la nazionale di calcio dei conduttori. Ho scelto di ricoprire anche il ruolo di direttore artistico perché dovevo assumermi tutta la responsabilità dell’edizione, nel bene e nel male.

Ho la fortuna di avere un gruppo di lavoro incredibile, a partire da Lucio Presta, sicuramente mi ha aiutato molto. La soddisfazione più grande è stata la longevità in radio delle canzoni che abbiamo scelto.

Quante volte le hai ascoltate prima di sceglierle?

Centinaia di volte, pure in macchina per strada, tanto che al semaforo dovevo abbassare il volume per non spoilerarle agli automobilisti (ride)! Pensa che Pippo Baudo un giorno mi diede un consiglio l’anno prima di Sanremo: “le canzoni devi farle tue, le devi conoscere a memoria”, e aveva ragione.

E’già arrivato qualcosa per il 2021?

Qualcosa sì, ma il grosso parte da lunedì, con gli incontri con le case discografiche, già da ottobre ci saranno le serate su Rai 1 Ama Sanremo, dedicate ai giovani. Successivamente si ascoltano le canzoni dei big fino a dicembre. Conosceremo i giovani che andranno all’Ariston il 17 dicembre.

Annuncio inoltre un’anteprima, sempre il 17 dicembre conosceremo anche i nomi dei big in gara.

Sarà la data da segnarsi sul calendario.

Il prossimo anno Sanremo sarà spostato a marzo, e probabilmente rappresenterà la grande ripartenza dopo tutto quello che è successo. Tu lo vorresti con il pubblico?

Non c’è un piano B, per me Sanremo deve essere fatto nella più totale normalità. Cerco di essere il più positivo possibile. E’ un evento troppo importante, e secondo me senza il pubblico in sala non può essere fatto. Certamente gli spazi sono stretti ed è impensabile in uno spazio ristretto come quello dell’Ariston riuscire a rispettare tutte le norme, se per esempio Fiorello decide di sputarmi l’acqua sul collo, io come faccio a prevedere quello che farà?

A proposito di Fiorello, come funziona la vostra alchimia?

Per me è come un fratello, ci conosciamo da trent’anni, infatti non ci siamo detti né preparati nulla per la diretta, e questo ci ha tranquillizzati. Lui ha deciso tutto di suo pugno, quando entrare, quando partire con l’improvvisazione, penso anche all’episodio di Bugo e Morgan…

Un altro con cui hai lavorato al suo esordio è stato Checco Zalone.

Assolutamente, su Italia 1, il gioco si chiamava Canta e Vinci, un format francese musicale divertentissimo. Lui era fortissimo, abbiamo fatto poche puntate ma è stato molto divertente.

Lo inviteresti a Sanremo?

Uno come Checco lo inviterei ovunque, ma alle volte sono belle le improvvisate.

Pensa che mentre eravamo a Sanremo, Fiorello mi disse che Djokovic era interessato a venire a vedere una puntata in live. Vi dico solo che avere due biglietti per Sanremo il giorno stesso è praticamente impossibile. Alla fine fortunatamente ci siamo riusciti, e la gag con le racchette sul palco è stata totalmente improvvisata. Quella è la parte più bella della conduzione, l’adrenalina è a mille.

Subito dopo l’adrenalina è scattato il lockdown, come hai vissuto quei mesi?

Chiuso in casa a Roma con la famiglia, l’ho presa molto seriamente, anche quando sono in giro indosso sempre la mascherina, è l’unico modo per tirare avanti fino al vaccino, è importante riuscire a superare il prima possibile questa situazione.

Per concludere, abbiamo vissuto un periodo drammatico e ancora adesso la situazione è difficile, cosa diresti ai tanti ragazzini che hanno la vita davanti per incoraggiarli in un momento di stand by sul futuro?

Questo è il paese più bello del mondo, allo stesso tempo è trascurato, inutile essere ipocriti. Abbiamo un potenziale incredibile, ma con problemi enormi, soprattutto la burocrazia, ci si muove a rilento. Capisco i giovani che vanno all’estero dove tutto è più rapido, più immediato, allo stesso tempo fa male, a questi ragazzi auguro che ci sia in futuro una classe politica in grado di porre rimedio.

Grazie Amadeus.

Grazie a voi!

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

You may also like

2 Comments

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Eventi