Oggi mi è capitato di seguire un gatto solitario che si aggirava silenziosamente sotto la pioggia battente -come se mi trovassi nel bel mezzo di un romanzo di Murakami-; e d’improvviso non ero altro che uno fra i tanti suoi complessi e stratificati personaggi, perduta e al contempo integrata nella società di massa.
Da questa prospettiva pareva più facile chiarire la disperata ricerca del proprio posto nel mondo da lui sempre rimarcata, l’incessante tentativo di colmare il vuoto creato dall’insoddisfazione. Eppure il personaggio murakaniano tipico si presenta capace di uscire da questo disperato isolamento perché la sua solitudine stessa si fonda sull’equilibrio, superando il concetto puramente fisico di solitudine. Questo perché stare soli non è essere tali fisicamente, ma vivere disconnessi dalla realtà.

A questo punto guardare il gatto randagio non mi trasmetteva più un senso di abbandono, bensì di libertà, quella libertà che trae la sua origine dal rifiuto di sottostare ad una definizione imposta da un’autorità superiore.

Ma il mio non vuole essere un panegirico, piuttosto una riflessione sull’elogio rispetto alla condanna della solitudine.
Certo non la si può contrastare che sfuggendole, anche se ciò comporta la perdita dell’individualismo; ma considerato che la cosa non sembra godere di eccessiva rilevanza oggi, sarebbe forse più utile riflettere sull’importanza del bastarsi, perché è stando da soli che si impara a relazionarsi con gli altri, fuggendo il rischio che anche la compagnia si riduca ad un’abitudine;

Tuttavia, la solitudine non è una condizione che tutti si possono permettere.
Di certo non i malati, ma nemmeno gli uomini di potere: alcuni prima di me hanno affermato che il politico solitario è un politico fottuto.
E così guardiamo impotenti le possibilità assottigliarsi e i rimpianti crescere, intrappolati in una vita trascorsa fra la noia di vivere insieme e il terrore di rimanere soli.

Se dunque in principio avevo desiderato di portare via con me il gatto, impietosita dalla sua condizione di emarginazione, ora non potevo fare a meno di invidiarlo profondamente.

NoSignal Magazine

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