Ultimo giorno di festival qui a Dogliani, e come da tradizione, anche quest’anno la primavera si fa attendere. Tralasciando l’english weather, mi appresto a seguire l’incontro su un tema che aspettavo da anni al Festival della TV, ovvero il mondo videoludico e le opportunità del digitale legate ad esso. Inutile negarlo, ormai i videogames la fanno da padrone per quanto riguarda l’intrattenimento giovanile e non. Io stesso, da grande appassionato, passo parte del mio tempo libero a giocare e informarmi sulle novità del settore, con il sogno nel cassetto di vedere in futuro i pro gamers (videogiocatori professionisti, ndr) entrare a far parte del roster degli atleti alle olimpiadi. Nell’attesa, oggi ho il piacere di ascoltare gli interventi di Riccardo Fassone (ricercatore universitario e autore), Matteo Stroscio (Product Manager — Marketing Young Vodafone), Mauro Lucchetta (psicologo e mental trainer per lo sport e gli esports) e Teknoyd (gamer e youtuber), intervistati da Lorenzo Fantoni.

Nonostante i videogiochi siano nati 50 anni fa, sono ancora considerati un media particolarmente nuovo. Siamo passati dai primi prototipi rudimentali fino a Fortnite, il cui successo è stato davvero inaspettato.

RF: Sì, in effetti non potevamo aspettarci nulla del genere fino a qualche anno fa, soprattutto perché con le reti e le infrastrutture di allora sarebbe stato difficile riunire un così vasto numero di gamers nello stesso momento. Ciò di cui parliamo oggi, lo streaming, gli esports, il videogioco a livello competitivo, sono tutte cose già profondamente radicate nel dna del mondo videoludico. Vedere gli altri giocare in streaming è un’attività nata con il videogioco. Una volta c’erano le sale giochi, ora ci si guarda a vicenda su internet.

Matteo, qual è il ruolo di Vodafone in tutto questo?

MS: Allora, ci sono diversi tipi di giocatori; c’è chi gioca per passione, chi comincia a cimentarsi in qualche torneo, e chi invece gioca per professione. Poi ci sono diverse piattaforme, dagli smartphone alla console. L’elemento di congiunzione dei giocatori e delle piattaforme è certamente la connessione, noi ci impegnamo su questo fronte, per offrire la migliore esperienza di gioco possibile. E’ cambiato molto l’utilizzo dei dati, in passato si guardava molto la parte in download, mentre oggi è importante anche quella in upload per un gamer o uno youtuber. Vodafone vuole avere un ruolo attivo, e far parte di un gruppo internazionale permette di ampliare l’adozione degli esports in Italia. Grazie a questo ci troviamo davanti a nuove professioni quali lo youtuber, il pro gamer o il mental coach.

Gli esports sono sicuramente una competizione a tutti gli effetti, fungendo da dimostrazione di quanto può essere complessa e variegata la realtà che un ragazzo si trova ad affrontare, vero Mauro?

ML: Stiamo vivendo in un mondo pieno di possibilità, e i ragazzi sono lì a dimostrarlo. E’ importante lavorare sul videogiochi rendendoli dei prodotti etici ed educativi, e qui entrano in gioco gli sviluppatori. Per i genitori, una conoscenza basilare del mondo videoludico è sufficiente a risolvere preoccupazioni e controversie con i figli.

Ora vorrei parlare con Teknoyd, qui sei la persona più a contatto con la community dei giovani appassionati. Com’è la giornata tipo di chi fa il tuo mestiere di youtuber?

T: Innanzitutto la mia è una professione che fino a qualche anno fa non avrebbe avuto modo di esistere. C’è un background incredibile dietro a ciò che si vede sui nostri canali. Il primo passo è pensare al tipo di contenuto che si vuole condividere con i fan, seguendo molto i loro consigli e le loro proposte. Poi bisogna registrare il video, e di solito impiego dalle 4 alle 5 ore. Infine c’è la parte che tutti coloro che vogliono fare questo lavoro ignorano: il montaggio. Nel nostro mondo bisogna essere un videomaker, un grafico, un intrattenitore e ovviamente un buon gamer. Io come tanti altri youtuber siamo autodidatti. Nel week end poi ci sono le fiere e gli eventi come questo, il tempo libero è molto limitato.

Quando si parla di videogiochi, vengono visti come un contenitore unico, anziché diviso in sottogeneri come nel caso del cinema. Non diciamo mai “non mi piacciono i film”, magari non ci piace l’horror, mentre nel primo caso si dice spesso “non mi piacciono i videogiochi”. Da dove nasce questo problema con i videogiochi?

RF: Questa sorta di resistenza viene di solito da chi non gioca, anche se poi tutti hanno almeno un giochino sul cellulare. Il mondo videoludico, come quello della letteratura o del cinema, è variegato, presenta al suo interno prodotti complessi dal punto di vista culturale, estetico, stilistico ecc… e altri meno, ma sono cose diverse. Ai videogiochi forse manca dal principio un’alfabetizzazione di base. Tutti sappiamo che Moby Dick è un grande romanzo, pur non avendolo mai letto, perché c’è una grande retorica dietro. Nel nostro mondo rimane quest’idea di minestrone indistinto dove tutti i prodotti sono simili tra di loro, ed è problematico. Si rischia di vietare o impedire ai propri figli di accedere a contenuti videoludici che in realtà sono pensati apposta per loro e che rappresentano un grande apporto educativo.

In Europa il settore degli eSports in Europa è già articolato e strutturato, mentre in Italia si tratta di una svolta innovativa, specie per quanto riguarda la collaborazione con Vodafone.

MS: Noi sicuramente siamo stati pionieri in questo. Siamo sicuri di poter rivoluzionare il mondo dei videogames, basti pensare all’arrivo del 5G. C’è un ruolo decisamente attivo da questo punto di vista, il lancio della nostra giga network è recentissimo, e quindi lo studio della rete e il miglioramento dei servizi grazie ai big data giocano un ruolo fondamentale.

In Italia un dei problemi iniziali per quanto riguarda gli eSports è stato proprio la mancanza di una rete che supportasse questo tipo di esperienza. Ecco perché 10–12 anni fa, quando in Italia arrivarono le prime competizioni, i giocatori italiani avevano sicuramente un grosso svantaggio dovuto al ritardo delle connessioni.

MS: Da questo punto di vista l’arrivo del 5G segnerà un punto di svolta epocale nel mondo del gaming. Oggi per giocare bisogna possedere una console molto performante, mentre il 5G permetterà il cloud gaming, di cui si sta parlando molto in questo periodo.

Tutti noi potenzialmente possiamo diventare “giocatori”.

ML: Mi viene in mente Fortnite. Come gioco, è stata una linea di confine tra il passato e il presente. Quando le nuove generazioni si affacciano al mondo del gaming, creano loro stessi nuove forme di eSports. Inoltre molto dipende da come i vari prodotti vengono recepiti dall’utenza.

Però c’è una grande differenza tra gli eSports veri e propri e le persone che giocano online.

ML: Nel momento in cui dedichiamo gran parte del nostro tempo in una determinata attività, volti a migliorare le nostre competenze e abilità, allora stiamo andando automaticamente verso una dimensione professionale, tralasciando il discorso economico. Facendo così si vanno a trovare dei meccanismi all’interno del gioco che l’utente medio non riesce a trovare. In questo modo si genera intrattenimento, che genera a sua volta un intero settore.

Ora tornerei sul tema Fortnite. Perché è così popolare?

T: Fortnite, fin dalla nascita, è stato sempre ad accesso gratuito. Nel luglio del 2017 c’erano solo giochi a pagamento, e chiaramente è stata una rivoluzione. Il gioco aveva una componente unica nel suo genere: la possibilità di costruire, e soprattutto è stato inserito il crossplay, quindi anche giocando contro si possono utilizzare sia Playstation che X-box. Ogni settimana ci sono aggiornamenti che vengono introdotti ascoltando i pareri della community, altro fattore molto importante. Tempo fa c’è stato addirittura un concerto del dj Marshmello live dentro Fortnite, un evento epocale che non ha precedenti nella storia.

Riccardo, secondo te, nella storia dei videogiochi, c’è qualcosa di assimilabile a un’interazione del genere?

RF: Ci sono stati molti tentativi, alcuni riusciti altri meno, di cui Fortnite è il punto di arrivo. L’idea di creare community di persone già esisteva, ma la dimensione di Fortnite non ha eguali. E’ il coronamento di un sogno, trasferire parte della nostra vita, attraverso un avatar, all’interno di un videogioco. Creare un mondo virtuale nel quale interagire con altre persone. Una comunità inclusiva a tutti gli effetti.

Dal punto di vista psicologico, quali sono i meccanismi che hanno portato a un successo del genere?

ML: Da un punto di vista psicologico mi affido a un modello vecchio che è quello della presenza. A fronte di stimoli colorati accattivanti, con una rilevanza dei messaggi inseriti all’interno del prodotto si riesce a ottenere un modello di coinvolgimento. Fortnite è bello, ed è riuscito attraverso la facilità di accesso, a creare delle community di giovani molto forti. Ora mi rivolgo ai genitori: inevitabilmente, la migliore soluzione possibile per gestire il rapporto dei giovani con la tecnologia, è quello di essere noi stessi degli esperti. Vale a dire provare i giochi, metterci mano ogni tanto senza chissà quale obiettivo. Questo permette di avere un’infarinatura generale del mondo videoludico tanto seguito dai nostri figli. Ed è un approccio virtuoso ed impegnativo da parte di un genitore.

MS: C’è un altro aspetto, vale a dire il “FOMO” (fear of missing out, ndr), la voglia dei ragazzi di sentirsi appartenenti ad una community, la paura di perdersi qualcosa, letteralmente. Nel tempo libero, i ragazzi adesso parlano di Fortnite, di come si è superato un certo livello ecc… Questo ha aiutato la diffusione del gioco.

Oggi tantissime aziende si lanciano a menadito su Fortnite. Una volta se volevi conoscere il mondo dei giovani c’era la televisione, in particolar modo MTV. Adesso ognuno di noi si costruisce il proprio palinsesto fatto di serie TV, giochi su internet… Reed Hasting, il capo di Netflix, sostiene che i principali competitors di Netflix sono due: il sonno e Fortnite.

RF: Una volta il giocatore era definito “hardcore gamer”, una persona che passava le notti a giocare, senza uscire dalla propria stanza. Oggi il giocatore è anche consumatore di Netflix, fruitore dell’ecosistema dei social media, e certamente vive una vita attiva.

Anche tu, Teknoyd, quando interagisci con la tua community immagino che non parli esclusivamente di videogiochi…

T: Certamente. Prendo a esempio Avengers: Endgame, senza fare spoiler! In una scena vediamo Thor seduto a casa sua che sta giocando a Fortnite. Questo per far capire quanto è potente il fenomeno di questo gioco.

Fortnite è da un certo punto di vista un titolo virtuoso. Ora anche chi non è appassionato di videogiochi, sentendo parlare di tutto l’universo a esso legato, si interessa al panorama videoludico.

T: Fortnite, e tutti coloro che ci giocano, vengono considerati come moda. Un gamer viene considerato “solo”, quando in realtà basta ascoltare le cuffie durante una partita per capire che sta giocando e interagendo con almeno 10–15 persone in contemporanea. Io considero ogni partita come un’avventura sempre nuova. Si provano emozioni forti, dalla rabbia alla soddisfazione, e si arriva a urlare di gioia, come al concerto virtuale di Marshmello, dove milioni di persone erano collegate al gioco ballando attraverso le animazioni.

ML: Questo tipo di evoluzione deve essere uno sviluppo, con un contesto psicopedagogico dietro. Ci troviamo all’inizio di questa fase. Passeremo da quello che è intrattenimento puro allo sviluppo di abilità e facoltà dei giocatori. Attraverso i videogiochi si possono cogliere opportunità incredibili. Si riescono a produrre meccanismi di apprendimento e non che risultano poi utili nella vita reale. Il gaming funzionerà sempre di più. Noi in Italia siamo dei creativi, ed è importante sviluppare la tecnologia nella direzione migliore possibile.

Come vedete il futuro del gaming?

RF: Onestamente non lo so, perché se lo sapessi, farei un altro lavoro. I videogiochi non sono ormai solamente uno strumento con cui si gioca, bensì un elemento che si guarda, che si esperisce attraverso altri e che costruisce delle comunità, è una delle cose che stanno accadendo maggiormente.

T: In primis, spero molto nello sviluppo della realtà virtuale, anche se siamo ancora molto lontani e non ci sono tutti i mezzi per realizzare un progetto del genere. In futuro, penso che la figura del giocatore professionista potrebbe arrivare ad essere comparata a una figura quale un giocatore di calcio.

MS: Sicuramente c’è un mondo legato alle professioni, da chi gioca a chi sviluppa, che crescerà sempre di più. Il mondo del 5G aiuterà a spostare su smartphone e altre piattaforme più accessibili dalla massa ciò che oggi esiste esclusivamente su console. Con il cloud gaming non sarà più necessario avere una piattaforma ultra performante, ma basterà accedere allo streaming del videogioco.

ML: Il cloud gaming sicuramente sarà una svolta epocale. Viviamo già in un’epoca nella quale le relazioni stanno diventando sempre più digitali, e in futuro, certamente, con il cloud questo tipo di comunicazione diventerà sempre più efficace. Cambierà completamente il mondo. Penso a Google Stadia, di cui si sta parlando molto, ma è ancora un progetto in evoluzione. L’importante sarà mantenere un approccio etico e culturale.

Grazie a tutti.

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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