< Se parti forse morirai, è pericoloso, perché vuoi andare comunque? >

< Per il forse >

In questi giorni agli Oscar c’è stata la premiazione di Ke Huy Quan, attore vietnamita, che si è commosso nel ricordare davanti alle telecamere le sue origini di profugo, un ‘indesiderabile’ destinato alla morte in mare. Da rifugiato di origine straniera è riuscito a farsi strada fino alle vette della carriera artistica, finendo per diventare simbolo vivente di integrazione e di speranza. Molti, alla cerimonia, hanno indossato un nastro celeste per la campagna #withrefugees, a sostegno delle cento milioni di persone oggi costrette a fuggire da guerre e persecuzioni. Ma da cosa scappava Ke Huy? Qual è la sua storia? Cosa c’entra con il nostro Paese?

Circa 40 anni fa, l’Italia fu protagonista di un’operazione eroica che si concluse con il salvataggio di un migliaio di persone, altrimenti destinate a morire. Siamo un Paese che sa accogliere e non dobbiamo farci convincere da chi ci dice di non porgere la mano a chi soffre o, ancora peggio, che quella persona ci è nemica.

< L’Italia è una terra di antiche virtù e di grandi eroismi, dove la passione per la libertà ha sempre acceso il cuore dei suoi figli. >   – Giuseppe Garibaldi

siam pronti alla morte, l'Italia chiamò
Illustrazione di Honeyskaur

Brevissima parentesi sul contesto storico

1975, finisce la Guerra in Vietnam, ha vinto il Nord comunista. Inizia l’epurazione di tutti i cittadini considerati ‘indesiderabili’, ‘filocapitalisti’ o ‘non conformi’ ai nuovi ideali rivoluzionari tramite persecuzioni, esecuzioni e deportazioni in campi di rieducazione. Circa 300.000 individui vengono deportati nei campi e 1.000.000 vengono ricollocati in zone rurali e costretti al lavoro agricolo [A]. Ovviamente le condizioni di vita sono terrificanti e scandite da abusi, torture, fame e malattie [B] e i più politicamente schierati vengono direttamente giustiziati.

Centinaia di migliaia di persone decidono di tentare la fuga. Anche i vicini Laos e Cambogia cadono nelle mani di un regime comunista e l’unica via di fuga che sembra praticabile è prendere il largo in mare.

Gli eventi

Circa 800.000 persone in tutto prendono il largo su barche, zattere, navi e qualsiasi mezzo per cercare di allontanarsi dalla terraferma, spesso senza neanche un obiettivo ben preciso in mente. Dopo poco i Paesi vicini iniziano a bloccare con decisione gli sbarchi, respingendo fisicamente i disperati e lasciandoli in mare in balia delle onde. La maggior parte dei profughi si ritrova quindi a dover vagare senza meta per i mari chiedendo soccorso alle navi di passaggio. Quasi sempre le richieste di aiuto vengono ignorate, in parte anche a causa dell’intervento del Governo vietnamita che cerca di tagliare i rifornimenti a quelli che considera dei dissidenti e dunque spesso allontana i potenziali soccorritori.

Tutte le imbarcazioni che cercavano di raggiungere la costa venivano respinte anche con la forza ed erano costrette a rimanere in mare fino alla morte degli occupanti o a cercare un’altra destinazione. Spessissimo (si è stimata una media di 3 volte per ogni viaggio) le imbarcazioni erano assaltate dai pirati, cosa che esitava nel migliore dei casi in un saccheggio dei pochi averi e dei viveri che avevano e nel caso peggiore in stupri, mutilazioni e omicidi.

Ognuno di questi viaggi era così pericoloso che si stima una mortalità che arrivava fino al 70% [C].

L’ONU deciderà di intervenire con campi profughi e corridoi umanitari solo dopo 4 anni di indifferenza internazionale e centinaia di migliaia di morti. I Paesi ritenuti più responsabili dell’accaduto, dopo il Vietnam, erano gli Stati Uniti, fautori materiali della guerra, e la ex potenza colonizzatrice che aveva diviso il Vietnam in due prima di andarsene, la Francia.

‘Il viaggio più pericoloso della tua vita’

L’attore Ke Huy Quan, all’epoca un bambino di 7 anni che fuggiva insieme alla madre è stato tra coloro che hanno preso la via del mare, è sopravvissuto ai pirati e all’inedia ed è finito per un anno in uno dei campi profughi finalmente avviati, ma ovviamente la situazione non era affatto risolta. E mentre lui era, perlomeno, al sicuro su una costa amica, la stessa fortuna non l’avevano altre decine di migliaia di suoi connazionali bloccati in mare e vittime dei respingimenti. Alla fine Ke Huy ebbe fortuna e fu tra coloro che vennero ricollocati negli Stati Uniti, iniziò una fiorente carriera nel mondo del cinema culminata in questi giorni con la vittoria dell’Oscar. Molti altri finirono sui fondali del Mare Cinese Meridionale.

Mentre il mondo intero temporeggiava, l’Italia decise che non sarebbe rimasta a guardare. L’allora Presidente della Repubblica Pertini contattò Andreotti e lo invitò a organizzare una delle più grandi operazioni di ricerca e soccorso della storia. Vennero fatti disporre due incrociatori e una nave di supporto carica di provviste, acqua e medicinali con la possibilità di ospitare più di mille persone. Per lasciare più posto per i naufraghi venne ridotto al minimo l’equipaggio ma si decise di portare comunque dei militari in vista di possibili scontri con le vedette vietnamite. Su ciascuna nave (la Andrea Doria, la Vittorio Veneto e la Stromboli) era inoltre presente un interprete. Due erano sacerdoti vietnamiti messi a disposizione dal Vaticano e uno era uno studente di lingue.

La Marina Militare Italiana non aveva mai intrapreso un unico viaggio così lungo, si trattava di 12.000 chilometri di navigazione in alto mare e senza scali.

L’arrivo dell’Italia

Dopo 21 giorni di viaggio avvenne il primo contatto con i naufraghi e iniziarono le operazioni di soccorso. I marinai italiani si trovarono davanti una situazione molto più disperata di quanto non si aspettassero. Persone divorate dalla denutrizione e disidratazione che portavano con sé anche molti bambini. Non avevano avuto scelta, rimanere a terra significava prigionia, tortura e morte; imbarcarsi significava rischiare la vita ma con almeno una speranza di libertà e di futuro.

Durante una delle varie operazioni di salvataggio, un’onda allontanò per un momento una delle imbarcazioni dei naufraghi da quelle soccorritrici. Una donna pensò che gli italiani se ne stessero andando e, presa dalla disperazione, lanciò letteralmente il figlio che teneva in braccio verso un marinaio italiano che riuscì a prenderlo al volo. L’interprete si affrettò a dire di non temere, che sarebbero stati soccorsi tutti e di non gettarsi in acqua né lanciarsi contro le navi per arrampicarsi. A quel punto si intuì che cosa potevano aver visto e subito quelle povere persone per arrivare a tanto e si decise di accelerare le operazioni di imbarco.

Coloro che erano più in forze, una volta a bordo, si offrirono di aiutare, profondamente grati per l’aiuto ricevuto, contribuendo al lavoro in cucina o ai servizi di pulizia.

Le tre navi, con l’aiuto di un elicottero, perlustrarono 250.000 km2 d’acqua con il preciso obiettivo di non lasciare più nessuno a vagare in mare in attesa di una morte orribile. Alla fine, quando erano vicini alla capienza massima e non si avvistavano più altre barche si dovette tornare indietro.

La fine dell’incubo

La missione salvò in tutto 905 persone di cui 125 bambini. O meglio 906 persone, poiché durante il viaggio di ritorno una donna partorì a bordo dell’Andrea Doria e decise di chiamare il figlio proprio ‘Andrea’ in onore della nave che era stata per lei sinonimo di salvezza e di speranza.

I profughi arrivarono infine in Italia e furono accolti con una grande cerimonia partecipata dalle Alte Cariche dello Stato. Fu concesso loro lo status di rifugiati politici e in seguito anche la piena cittadinanza. La comunità vietnamita dedicò una lettera al popolo e al Paese che aveva dato loro una nuova casa di cui riporto un estratto.

< Eravamo persone morte e per la vostra bontà siamo tornati a vivere. Questa mattina quando dal ponte guardavamo le coste italiane, una dolce brezza ci ha accarezzato il viso in segno di saluto e ha riempito di gioia il nostro cuore. Siete diversi dagli altri popoli, per voi esiste un prossimo che soffre e per questa causa vi siete sacrificati. Grazie. >

Alcune fonti e approfondimenti:

[A] https://www.jstor.org/stable/1972120?origin=crossref

[B] https://www.ocf.berkeley.edu/~sdenney/Vietnam-Reeducation-Camps-1982

[C] ‘Statistics of Vietnamese Democide’ http://www.hawaii.edu/powerkills/SOD.CHAP6.HTM

https://www.vietnameseboatpeople.org/about

http://refugeehistory.org/blog/2020/8/24/boat-people-a-tale-of-two-seas

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