Negli ultimi anni sta accadendo un fenomeno che, seppure riguardante un Paese geograficamente lontano, ci tocca da vicino. In Indonesia la capitale, Giacarta, sta lentamente sprofondando nel Pacifico, una situazione che ha costretto il governo a progettarne un’altra, Nusantara (arcipelago), termine indonesiano usato dagli abitanti per indicare la loro nazione.

Abbiamo sentito spesso parlare nelle lezioni di Storia di Stati o Imperi che hanno cambiato la propria capitale. Spesso tale scelta era riconducibile a necessità difensive, poiché la guerra è stata una costante nella storia umana, o per questioni commerciali e culturali. Così fu per la scelta di Costantinopoli nel 330 d.C., quando l’Urbe era ormai martoriata da continue invasioni barbariche, per il trasferimento nel 1712 da Mosca a San Pietroburgo che per Pietro il Grande era un trampolino di lancio verso l’Occidente verso cui lo zar guardava con ammirazione.

Altre volte si trattava di ideologia, come quando, nuovamente in Russia, nel 1922 la capitale divenne Mosca, poiché San Pietroburgo era ormai il simbolo zarista. Oppure il trasferimento dell’Imperatore Meiji durante nel 1868-1869 da Kyoto a Tokyo, quest’ultima in precedenza sede del padrone de facto del Giappone, il Clan Tokugawa. Un ultimo esempio riguarda la capitale cinese (da Nanchino a Pechino) in cui Nanchino fu capitale dal 1928, sotto il governo nazionalista, fino al 1949. Infatti in quell’anno Mao Zedong, nemico dei nazionalisti, decise di riportare la sede a Pechino come gesto simbolico di taglio con il passato.

Anche nel caso dell’Indonesia non siamo troppo lontani dalle solite motivazioni. Infatti lo spostamento della capitale nel Borneo non è casuale, perché lì il governo possiede svariati ettari utilizzabili per la costruzione di una nuova metropoli. Tuttavia tale mutamento presenta ulteriori ragioni; questo atto epocale riguarda fenomeni di cui siamo responsabili, caratteristici del nostro tempo: il riscaldamento globale, la sovrappopolazione, lo sfruttamento intensivo.

Infatti tutti questi elementi sono correlati: la sovrappopolazione comporta più inquinamento, dunque un aumento dell’effetto serra; l’aumento demografico porta alla crescente domanda di risorse che, estratte dal terreno, lo rendono più vulnerabile agli insediamenti permanenti e, nel caso delle città costiere, più esposto alle maree. Questo fenomeno riguarda, come detto a inizio articolo, anche noi perché zone costiere si trovano in tutto il mondo: Venezia, Amsterdam, Miami, Maldive…

Mi rammarica che una notizia simile, nonostante il progetto indonesiano sia stato attuato da anni, non abbia suscitato maggiore clamore. Sembriamo il Titanic che va contro l’iceberg però, a differenza del transatlantico, ne siamo coscienti ma non sembriamo cambiare rotta; si ha invece l’impressione che non solo la direzione tracciata sia la stessa, ma stiamo addirittura andando a tutta velocità.

NoSignal Magazine

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