Il tema che tratterò in questo articolo è molto ostico (al punto che tanti avranno un sentimento di ribrezzo soltanto al sentir nominare il soggetto del discorso), ossia quello della fiscalità statale. Le tasse.

Molte volte ci siamo domandati a che cosa serva tutta quella mole di denaro che ogni anno diamo all’Italia. Ebbene, tali fondi servono a garantire il funzionamento del Welfare State, ossia dell’apparato assistenzialistico statale. Servono inoltre a garantire l’intero apparato burocratico e le sue relative forniture, la libera e (semi)gratuita istruzione fondamentale, il mantenimento dei luoghi di ritrovo pubblici, delle linee stradali e ferroviarie e qualsiasi altro servizio che viene garantito dallo Stato. Il peso che hanno le tasse sui redditi della popolazione rispecchia in un certo senso il costo che essi hanno per poter essere fruiti e vengono ripartiti non egualmente su ciascuno, bensì proporzionalmente al reddito d’esercizio individuale di un dato periodo fiscale (annuale per i redditi, trimestrali per quanto riguarda l’IVA).

Idealmente, l’apparato fiscale nel suo esercizio annuale può essere indirizzato verso tre obiettivi, che si escludono l’uno con l’altro, che elencheremo brevemente qui di seguito:

  1. Pareggio di bilancio. Le entrate fiscali coprono le uscite.
  2. Disavanzo di bilancio. Le uscite superano le entrate
  3. Avanzo di bilancio. Le entrate superano le uscite

Pareggio, avanzo e disavanzo. Quando e perché

Uno Stato, sulla fine di ogni anno solare, e chiamato a redarre il Documento di Economia e Finanza per l’anno a venire, con le proiezioni per il quinquiennio successivo. Tale legge è forse la più importante che viene redatta ogni anno, in quanto identifica come lo Stato interverrà sull’economia. E’ qui che vengono definite le direttive con i relativi stanziamenti per le opere pubbliche, il finanziamento alle attività imprenditoriale e quelle dirette all’assistenzialismo statale.

Il suo risultato finale, ossia l’incremento, il decremento o il mantenimento del saldo delle casse statele, viene definito in base alle necessità dettate dalle condizioni economiche sia della popolazione che dello Stato inteso come entità.

Per questo motivo, in periodi di crisi, per incentivare l’impresa viene tendenzialmente ridotto il giogo delle imposte statali, andando a creare un disavanzo nella casse erariali. Questo investimento serve ad incentivare la ripresa economica, fino al momento in cui essa sarà di nuovo in grado di sostenere un livello di tassazione più elevato e di muoversi sulle proprie gambe.

Di conseguenza, avviene che si decida di spingere su un avanzo di bilancio quando per esempio il debito pubblico di un Paese si è spinto troppo in alto ed ha la necessità di essere ridotto, a condizione che le condizioni economiche della popolazione e delle imprese sia in grado di sostenere la partecipazione in tali spese.

Si opta per il pareggio di bilancio invece nelle situazioni in cui è necessario mantenere lo status quo dell’economia, o perché ancora troppo debole per sopportare tassazioni più elevate, oppure perché le stime non prevedono necessari né investimenti né stanziamenti per ipotesi future.

Le tasse sui consumi

Un metodo di tassazione classico e molto utilizzato, in quanto disponibile nelle casse statali in tempi più rapidi, sono le imposte sui consumi. La più celebre nel nostro Paese è l’IVA, ossia l’Imposta sul Valore Aggiunto. In sintesi, si tratta di una tassa che si paga in relazione al valore di un oggetto. A fini di esempio, immaginiamo un giocattolo che, in assenza di tassazione, abbia un costo d’acquisto pari a 10 euro. A seguito dell’imposta al 22% come nel caso dell’Italia, pagata al momento dell’acquisto e riversata dal rivenditore, il suo valore si attesterà a 12,20 euro, incidendo quindi sul prezzo finale pagato dall’acquirente. Tale imposta verrà versata, sempre nel caso Italia, in blocco mensilmente o trimestralmente, a seconda del volume d’affari.

Balza subito all’occhio come un aumento di tale tassa abbia un incidenza negativa sui consumatori, che sono i reali destinatari di questa tassazione, sebbene l’atto di riversamento non sia loro dovuto. Infatti, in linea generale, un aumento dell’imposta sul consumo provoca una contrazione degli acquisti, dovuti alla diminuzione del Salario Reale, in relazione al paniere di riferimento. Tutto cosa prima costava 100 + 22 di IVA, con un aumento di 2 punti percentuali costerà 100 + (22+2) di IVA.

Inseriamo qui una semplice formula, atta a dare teoria alla pratica appena esposta:

Chiamiamo “Forbice del Reddito Reale” la seguente funzione

F = Salario Monetario / Consumi di Sussistenza

Nella misura in cui tale funzioni porti al valore 1, il Salario Reale permetterà al nucleo familiare avente quel dato reddito di permettersi i consumi per sopravvivere, senza nulla lasciare a sprechi e merci non necessarie. Se il valore è superiore ad 1, il nucleo familiare avrà possibilità di spesa per le merci superflue. Viceversa, quando il valore è compreso tra 0 ed 1, il Salario Monetario non sarà in grado di permettere l’acquisto degli alimenti base.

Essendo il Salario Monetario il reddito di un dato nucleo familiare, ed essendo la voce “Consumi di Sussistenza composti dal valore nominale del prodotto più l’IVA, all’aumentare dell’IVA diminuisce il valore F, contraendo il valore della domanda delle merci.

Le Tasse sugli utili e sui salari

Per quanto riguarda invece le tasse derivanti dal lavoro, bisogna distinguere tra quelle tasse che vengono pagate dai titolari di Partita Iva e da chi è inquadrato come dipendente.

Per i secondi, la tassazione sul lavoro avviene mediante ritenuta sulla busta paga, riversata poi nelle casse dello Stato dal datore di lavoro. I soldi che vengono pagati come tasse di conseguenza non vengono nemmeno visti e la loro entità (ad eccezione dei contributi pensionistici) dipende in buona parte dalla composizione del nucleo familiare per le varie detrazioni di cui l’individuo dispone. Anche in questo caso, come nella relazione precedente, un aumento della pressione fiscale comporta una diminuzione del rapporto F, andando però ad incidere sul numeratore del rapporto.

Per le Partite Iva, invece, fa fede la dichiarazione dei redditi, con il pagamento annuale delle imposte dovute. In questo caso, l’aumento della tassazione non incide direttamente sui consumi dell’individuo, in quanto l’impatto lo si vede posticipato, nella maggior parte dei casi, a distanza di 18 mesi dall’entrata in vigore della norma fiscale, essendo relativa all’anno successiva e pagata a metà dell’anno dopo. In compenso, incide molto sulla capacità d’impresa e sulla previsione degli utili, andando a danneggiare la nascita di nuove attività economiche, in quanto ritenute meno remunerative e con un’esposizione al rischio maggiore.

Tasse sulle Rendite e Tasse Patrimoniali

Queste ultime tipologie di tassazione, sebbene siano le più antiche prodotte dalla società umana, fatti salvi i tributi di occupazione pagati dai popoli sconfitti in epoche antiche, sono da sempre le più discusse, in quanto gravano direttamente sul patrimonio dell’individuo.

Mentre sulle rendite viene tassata in percentuale la resa dall’affitto delle terre o degli edifici, le tasse patrimoniali (in Italia, ottimi esempi sono il bollo auto e l’ex IMU) si identificano come autorizzazione al possesso di un determinato bene di lusso. Logicamente, per subire questo tipo di tassazione, bisogna necessariamente disporre di determinati possedimenti, quali auto, terreni ed edifici, pescando maggiormente nelle tasche dei ricchi. L’accusa mossa contro questa tipologia di entrata erariale è la sua immoralità, in quanto penalizzante verso coloro che, nella concezione dei colpiti, si sono maggiormente impegnati e sono maggiormente riusciti nella vita professionale. La difesa alla tesi opposta, riprendendo lo stesso tema, ha sempre alluso invece al fatto che, essendo detentori di determinati beni, ci si possa permettere anche di pagare una tassa per il loro possesso. Un serpente che si morde la coda, uno stallo che probabilmente l’umanità si porterà avanti sino alla propria estinzione.

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