Il paradosso del tempo rimane uno dei nostri più frequenti interrogativi.

L’uomo ha escogitato diversi sistemi per misurarlo tramite uno schema che si ripete ciclicamente, sistemi che però puntualmente crollano di fronte alla nostra percezione di ogni singolo attimo, la cui durata a volte ci pare estremamente breve, altre infinita, ma in ogni caso comunque, totalmente fuori dal nostro controllo.

Sfuggente.

Ecco come spiegherei lo scorrere inesorabile del tempo, così come l’inutile sforzo di definirlo, di controllarlo. In fondo il tempo è un pugno di sabbia che le nostre dita serrate non possono in alcun modo trattenere, tanto varrebbe intestardirsi a raccogliere manciate d’acqua a mani nude.

Ma come convivere serenamente con la consapevolezza di essere in totale balia del corso e della durata degli eventi, intrappolati in un meccanismo apparentemente privo di una logica razionale?

Al momento la soluzione sembra fuori dalla portata della società in cui viviamo: consumiamo il nostro tempo divorati dal timore di non esserne padroni, assillati dall’allarmante ticchettio dei rintocchi che scandiscono il suo inesorabile avanzare.

Catapultati in una corsa forsennata che non mostra alcuna pietà verso chi si dimostra incapace di tenere il passo, la nostra vita diventa un meccanismo ad eliminazione, una sorta di “gioco delle sedie”, dove i ritardatari non sono contemplati.

Nasce così l’esigenza di promuovere la velocità e la prontezza, accelerando le abitudini e i ritmi fino a renderli frenetici: quanto più puoi tenere testa al ritmo convulso che la società ti impone, tanto meno rischierai l’eliminazione dalla corsa.

Proprio per questo oggi tutto è immediato, nella comunicazione quanto nelle relazioni, e questa angoscia di “non avere tempo” logora la pazienza, alimenta lo stress, rende tutto superficiale e instabile e ci allontana sistematicamente dalla connessione con il nostro Io.

Quando inviamo un messaggio ci aspettiamo una risposta istantanea, le “storie” su Instagram spariscono dopo 24 ore, per non parlare delle videochiamate che nemmeno permettono a chi le riceve di avere il tempo di sistemarsi per rispondere.

Se osserviamo con consapevolezza questa realtà alla quale siamo ormai tutti quanti assuefatti, non possiamo che essere terrorizzati da una situazione come quella attuale, dove il tempo diventa fluido, inconsistente.

Oltre trenta giorni di reclusione forzata a causa della quarantena ci hanno dato la percezione di come le settimane sembrano dilatarsi formando un quadro irreale che fa a pugni con il nostro abitudinario ritmo febbrile e convulso, stracolmo di impegni, orari, scadenze.

Forse dovremmo provare per un istante a evadere la smaniosa frenesia del tutto per fermarci a riflettere sulle reali ragioni che ci spingono a ricercare il trambusto.

Il fermento in cui siamo immersi, infatti, permette la “fuga da sé”, rappresenta una modalità per sottrarci al problema del senso della vita, distogliendo l’attenzione da pensieri cui preferiamo non abbandonarci.

Questo comporta che la nostra preoccupazione verta sempre sul passato o sull’avvenire, senza mai soffermarci sull’attimo presente.

In questo modo noi non viviamo mai, ma speriamo di vivere, e, preparandoci sempre ad essere felici, inevitabilmente non siamo mai tali, come sosteneva il filosofo Pascal secoli prima di noi.

Se ci focalizziamo sempre sul secondo imminente, non potremo mai considerarci soddisfatti dei nostri successi, né possiamo vivere con pienezza le emozioni che ci travolgono, perché la nostra mente sarà sempre già oltre, impegnata ad angosciarsi per un futuro che — chi lo sa? — forse nemmeno vivremo.

In fondo il Covid-19 può essere un’occasione per uscire dalla nevrosi quotidiana e prenderci un attimo di tempo per noi stessi.

Non ci è dato sapere di quanto tempo disponiamo. Ma questo inconveniente non ha assolutamente nessuna rilevanza, per chi sa vivere il Carpe Diem.

NoSignal Magazine

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