Il secondo intervento di questa ultima giornata del Festival è di quei belli. Siamo sinceri, chi non ha mai guardato almeno un film o una serie TV su Netflix? Il più importante servizio di streaming al mondo è al centro della discussione a cui partecipano oggi Laura Buffoni (dottore di ricerca in Cinema e Arte, collaboratrice di Fandango), Nicola De Angelis (Direttore Sviluppo Editoriale e Responsabile delle Co-produzioni Internazionali per Fabula Immagini ), Ilaria Castiglioni (Produttore Creativo), Francesca Longardi (Produttrice e Responsabile del settore Sviluppo della società Cattleya) e Felipe Tewes (Direttore International Originals Netflix) intervistati da Gianmaria Tammaro.

Oggi Netflix è una realtà affermata in 190 paesi nel mondo. Cominciamo con Laura, tu con Fandango stai seguendo il progetto “Luna Nera”. Raccontaci cosa dobbiamo aspettarci da questa nuova serie.

LB: Luna Nera nasce dall’immaginario delle streghe e dei cacciatori di esse. Sono figure che appartengono alla nostra tradizione, fanno parte del folklore, ma anche della nostra storia. Siamo partiti dalla follia di una nostra collega, Tiziana Adria (direttore editoriale di Fandango Libri, ndr) che da anni segretamente stava lavorando sul materiale della stregoneria del 1600. Ci ha contagiati con questa storia e a noi è piaciuta fin da subito. Pochi giorni dopo a Roma abbiamo incontrato Felipe, che ci ha subito dato il lasciapassare. Da lì è nato tutto.

Dalla regia, alle attrici, allo sviluppo lavorativo della serie, c’è un forte taglio femminile. Cosa significa per voi di Fandango realizzare un progetto del genere?

LB: Le streghe altro non erano che donne poco inclini alla sottomissione di un sistema prettamente maschile, con la loro follia e la loro ribellione. Si trovavano in contesti difficili per loro, e presentavano comportamenti devianti del tutto naturali. Io penso che siamo ancora indietro in Italia dal punto di vista della disparità del genere. Non veniamo considerate adeguatamente abili a raccontare delle storie di genere, dove c’è una forte preponderanza maschile. Questa serie vuole dimostrare il contrario.

Vorrei sapere da te, Felipe, cosa significa un progetto così importante e dal taglio nettamente femminile.

FT: Per Netflix è sicuramente un progetto molto ambizioso e c’è tanta eccitazione. Tutto nasce dalla passione. Parlando con Fandango ci siamo subito accorti della grande connessione personale legata al progetto. Non vogliamo limitarci a un progetto di nicchia, ma raggiungere fin da subito il grande pubblico.

L’Italia è entrata di diritto in questo mercato internazionale?

LB: A differenza della politica attuale, noi stiamo andando verso un abbattimento delle barriere. Il grande passo è stato l’utilizzo pieno e coscienzioso della nostra lingua. Non a caso, le serie italiane più viste e amate nel mondo sono state “Gomorra” prima e “L’Amica Geniale” poi. Rimanere locali per raggiungere il pubblico internazionale.

Passiamo la palla a Ilaria. “Curon” è uno dei progetti annunciati ultimamente da Netflix per l’Italia. Cosa racconta questa serie?

IC: Curon si trova in Trentino Alto Adige, un paese dove si può vedere un lago artificiale costruito negli anni ’50 da cui emerge la punta di un campanile medievale. E’ un’immagine che ha subito gridato a una storia. I protagonisti ci portano a Curon per scoprire i misteri custoditi dal lago. Essendo un mistero, è il massimo che vi posso dire. Inquieterà e farà paura, ma il genere per noi è un vestito per raccontare le emozioni e le relazioni dei protagonisti. La domanda vera sarà: chi sono i nostri nemici?

Credi che l’arrivo di servizi quali Netflix abbia aiutato il mercato italiano a raccontare un mix di generi che non sono propriamente la nostra quotidianità?

IC: Netflix ha aiutato fin da subito, nel momento in cui abbiamo avuto accesso ai contenuti. Questo ha dato a tutti la percezione che si potessero raccontare le storie in modo diverso rispetto al passato. E ‘uscito fuori il coraggio di intraprendere nuovi percorsi e sfidare il pubblico insieme alle loro abitudini. Un aiuto importante è stata la presenza sul campo, la possibilità di parlare direttamente con i produttori.

Dietro a questo progetto c’è un gruppo di autori molto giovane per la media italiana. Com’è stato lavorare con loro?

IC: Alla fine non è una questione anagrafica, ci vogliono idee e tanto coraggio editoriale. Noi ci siamo innamorati fin da subito di Curon, c’è un forte impatto visivo e universale. Il lavoro è stato quello di aiutare i giovani autori a realizzare la loro idea di partenza, supportandoli da un punto di vista editoriale e non. La componente giovanile è fondamentale per noi, ci porta freschezza e nuove prospettive.

Per quanto riguarda Luna Nera, anche qui si può notare il forte componente delle radici, l’essere legati al territorio e a un coro locale.

IC: Sì, come diceva Laura prima, ci basiamo molto sull’identità quando raccontiamo una storia del genere. In ogni racconto cerchiamo sempre di capire chi siamo, e questo non fa eccezione. Qui siamo a pochi chilometri dal confine con l’Austria, in un contesto poco raccontato. Secondo noi ha una componente visiva molto potente se paragonato allo stereotipo del racconto italiano, per questo siamo curiosi di vedere come verrà percepito. Ciò che lo rende popolare e fruibile da un pubblico di 190 paesi è proprio la tipologia di racconto, una storia di formazione e di famiglie.

Passerei ora a Nicola. Prima di chiederti dell’evoluzione della seconda stagione di Baby (la prima stagione è uscita l’anno scorso, ndr), come ha fatto questa serie a incuriosire e appassionare un pubblico così vasto? Quali elementi gli hanno permesso di andare oltre la sua italianità?

ND: Credo che l’autenticità sia la chiave di qualsiasi buona riuscita di un prodotto per un pubblico che ha costantemente fame di nuovi contenuti importanti a livello qualitativo. Le persone vogliono essere rappresentate da ciò che guardano. Il genere young adult negli anni non era mai stato proposto in maniera autentica, e adesso ci troviamo ad un punto di svolta in questo senso. Il nostro team è giovane, non scimmiotta l’età che ha, ed è riuscito a superare l’incredulità dello spettatore e far diventare la serie a lui familiare. Se non realizzi un prodotto facilmente comprensibile ai quattro angoli del pianeta, diventa complicato superare le Alpi. Questa è una storia romana, ma potrebbe accadere ovunque, ed è questa la sua forza.

Com’è nato il connubio con questi giovani autori?

ND: Erano anni e anni che cercavo un teen drama di qualità da proporre per il genere young adult, e con gli autori giovani mi sono sempre posto con massima serietà, anche perchè mi sembrano meno drogati dal sistema rispetto ai cosiddetti “veterani”. A me ha colpito la loro profonda preparazione nel lavorare in collettivo. In Baby come in Curon, non sono scrittori isolati a proporre idee, si presentano in gruppo e c’è un grande supporto all’interno del team. Sta cominciando a diffondersi questa voglia di scrivere assieme, e devo dire che mi piace molto.

So che non ci puoi dire molto e che non possiamo scendere nei dettagli della seconda stagione… ma ci puoi dire qualche dettaglio della seconda stagione? (risate generali)

ND: Netflix ci ha permesso di affrontare la scrittura di questa seconda stagione con maturità e responsabilità maggiori rispetto al passato. Ci ha permesso inoltre di confrontarci con gli errori e con le critiche, che abbiamo ascoltato tantissimo; per noi sono state un importante metro di paragone. Questa seconda stagione in generale avrà un taglio più maturo, senza però tradire l’identità di Baby.

Passiamo ora a Francesca Longardi, che ci racconta oggi di un altro progetto, ispirato a “Tre Metri Sopra Il Cielo”. Ora, non per metterti ansia, il film e il libro negli anni sono andati molto bene, ma questa serie come andrà?

FL: Hai toccato un nervo scoperto! Sicuramente è una sfida incredibile, siamo contenti che Netflix abbia voluto questa serie per correre insieme a noi. Il film, come sappiamo, è stato amato da un’intera generazione e odiato da quella successiva. Quando Netflix ci ha detto che erano pronti per realizzare il remake con una serie, ovviamente è stato emozionante per tutti noi. Allo stesso tempo è una responsabilità non da poco, il film ha quasi vent’anni, ed è cambiato tutto. La vera sfida sarà rendere attuale questa serie. Il pubblico di Netflix è giovane per la maggior parte, nonchè molto esigente e sofisticato; hanno alte aspettative, anche perchè sono cresciuti con serie TV di altissimo livello. Devo dire che è stato un ottimo lavoro di squadra, specie per quanto riguarda la scrittura. Oggi, scrivere per la nuova serialità è difficilissimo, i personaggi devono essere complessi, tridimensionali, originali e autentici. E’ complicato, ma stimolante.

Mi sembra di capire che per tutti voi la componente del genere young adult sia molto importante, con una proposta per un pubblico non per forza giovane, ma che si mantenga stabile su storie di crescita e maturazione. Vi chiedo una riflessione su questo.

IC: Sicuramente è un pubblico che non ti perdona se sbagli, e ha bisogno di sentirsi rappresentato con autenticità. E’ un confronto molto interessante da questo punto di vista. Gli spettatori sono sempre pronti a puntarti il dito contro dicendo “questi non siamo noi”, per questo è necessario prestare maggiore attenzione si lavora sui contenuti. D’altro canto, un pubblico vasto ti permette di testare i prodotti ed essere ambiziosi e coraggiosi.

ND: Direi che era ora, in passato ho avvertito molta frustrazione da parte di chi dirigeva. Meno male che lo young adult è venuto fuori, c’è un grosso buco sul mercato seriale che tutti noi siamo tenuti a riempire. In Italia questa mancanza è sempre stata maggiore rispetto all’estero, per questo abbiamo deciso di intraprendere questa strada.

FL: In genere sono gli adulti che raccontano i giovani, ma in realtà i giovani vogliono raccontarsi da soli, e questo è difficilissimo da realizzare. Come dicevamo prima, è un pubblico implacabile, o li prendi tutti, o non prendi nessuno, a differenza del pubblico più adulto. I giovani sono tecnologici, fruitori di qualsiasi cosa in campo social e nel mondo dell’intrattenimento, ecco il perchè di questa forte esigenza da parte loro; l’asticella si alza drasticamente. Qui si aprono opportunità enormi per i giovani sceneggiatori in Italia, un’occasione per soddisfare questo pubblico tanto esigente.

LB: A differenza vostra, io penso che lo young adult non sia rivolto ad un target specifico. Se si realizza nella maniera corretta, diventa un genere adatto e rivolto a tutti. I ragazzi hanno voglia di sentire raccontato il loro mondo attraverso un linguaggio specifico, e gli adulti vogliono sentirsi nuovamente giovani, provando le stesse emozioni di un tempo attraverso un film o una serie TV. E’ un genere che prende tutti, ma soprattutto viene visto insieme da genitori e figli, con le dovute eccezioni. Ci troviamo davanti a nuovi aggregatori di famiglia e socialità, questa è la ragione per cui sta funzionando così bene.

ND: Un altro aspetto importante è che questa tipologia di storie si può adattare a tanti generi diversi. Non c’è più il macrogenere young adult relegato ad un certo tipo di narrativa; ci può essere il romance, il torbido, l’horror, il fantasy… Questa forse è la vera rivoluzione.

Ci siamo, Felipe, è il tuo turno. Parto in quinta: quali progetti avete in Italia?

FT: Siamo sempre alla ricerca di idee e progetti nuovi. Il punto focale è sempre la passione. Noi cerchiamo dei creatori che sentano una forte passione per ciò che vogliono raccontare e che abbiano una forte connessione personale con il progetto che ci propongono. A quel punto noi siamo pronti per sostenerli e aiutarli a portare in vita i loro progetti.

Per quanto riguarda il lavoro di Netflix, credo sia importante trovare un equilibrio tra il pubblico italiano e quello internazionale. Qual è la differenza più grande che vedi?

FT: Più che le differenze, è interessante notare gli elementi che accomunano i due pubblici. Vediamo sempre più spesso che il pubblico, a prescindere dal paese di provenienza, si appassiona principalmente alla storia, e trova una connessione con i personaggi. Ovviamente il contesto geografico e culturale dona un po’ di colore e crea una caratterizzazione molto forte, ma la chiave per instaurare una connessione profonda tra il prodotto e il pubblico rimane certamente una storia ben scritta. Mi è capitato recentemente di incontrare un ragazzino di Los Angeles appassionato della serie Baby, che incuriosito mi ha chiesto che cosa sarebbe successo ai personaggi nella seconda stagione.

Quali sono le prossime storie o i prossimi generi che vi piacerebbe esplorare nel territorio italiano?

FT: In questo momento stiamo cercando di diversificare il più possibile le nostre storie, magari puntando anche a qualche contenuto più leggero. Nel genere comedy, ad esempio, i nostri autori sanno benissimo che è molto difficile trovare i contenuti giusti da proporre, ma l’importante è puntare a pubblici diversi con diversi interessi.

Se dovessi scegliere una serie che va in onda o in streaming in Italia, quale “ruberesti” volentieri per portarla su Netflix?

FT: Penso a “L’Amica Geniale” di Elena Ferrante. E’ un progetto che abbiamo amato fin da subito per la forte passione al suo interno, ed è riuscito a catturare intensamente l’attenzione di un pubblico molto vasto; questo non sempre avviene con serie TV di quel genere. Rai ha fatto un ottimo lavoro.

Abbiamo parlato di “Curon” e “Luna Nera” , ma c’è una terza serie che si sta sviluppando in Italia: “Fedeltà”, tratta dai libri di Marco Missiroli . Secondo me potrebbe essere interessante, dal momento che non c’è ancora una casa di produzione dietro questo progetto. E’ stata proprio Netflix ad interessarsi alla storia raccontata in questi libri, e ha deciso di realizzarne una serie. Puoi dirci di più?

FT: Sì stiamo ancora costruendo il team e successivamente dovremo trovare una produzione. Il libro tratta un tema sicuramente molto universale, questo è l’aspetto più interessante. Parla del conflitto che si può creare nell’essere fedeli nei confronti della propria relazione oppure verso se stessi. E’ un dilemma potenzialmente comune a tutti. Vale la pena scommetterci sopra.

Grazie mille a tutti.

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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