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Ogni accesso ai social è un ingresso in un mondo in miniatura in cui si alternano volti che si affacciano dallo schermo, citazioni, annunci non richiesti sulle vite private di semisconosciuti. I selfie e le frasi poetiche sono il minore dei mali, quando si è a pochi click di distanza dal baratro delle notizie catastrofiche. L’abitudine di leggere notizie negative in modo compulsivo è stata ribattezzata doomscrolling. Il termine, talvolta utilizzato anche per indicare il semplice consumo sproporzionato di contenuti online, unisce la parola scrolling, che si riferisce allo scorrere i contenuti sui dispositivi digitali, alla parola doom, che ha a che fare con la cattiva sorte. 

Genesi

Coniata sulla rete nel 2018, la parola è stata inserita nell’Oxford Dictionary nel 2020, in piena pandemia, quando il consumo collettivo di informazioni negative ha raggiunto l’apice. È soprattutto in corrispondenza di eventi di portata globale, come la diffusione del Covid-19 e lo scoppio di conflitti, che questa tendenza ha finora raccolto maggior seguito, coinvolgendo principalmente la Generazione Z (la generazione dei nativi digitali, che comprende i nati tra la fine degli anni Novanta e il 2010).  L’impatto di questa indigestione di negatività incrementa lo stress, l’ansia per il futuro, e la fear of missing out, la cosiddetta FOMO, la paura di essere esclusi, di perdersi qualcosa e restare indietro rispetto alle esperienze degli altri o, nel caso in questione, di non essere aggiornati su ciò che succede nel mondo. Il doomscrolling interferisce con la qualità del sonno soprattutto se avviene prima di andare a dormire, quando l’esposizione agli schermi è di per sé deleteria e incide sulla produttività degli utenti, sfiancati dalla quantità esorbitante di notizie che piovono a cascata dagli schermi. 

Le ragioni dello scrolling compulsivo sono da ricercare in fattori come il Negativity Bias, che consiste nella tendenza a prestare più attenzione agli stimoli negativi, per istinto e per motivi di sopravvivenza. La sovrabbondanza di news accessibili sulla rete completa il quadro, così che la linea tra l’essere sempre informati su quello che ci succede attorno e l’esserne sopraffatti è sottile. A esacerbare la pratica del doomscrolling contribuiscono gli algoritmi dei social media, che selezionano e danno maggiore risonanza ai contenuti verso i quali gli utenti si mostrano più reattivi, creando delle bolle digitali in cui si interagisce sempre con lo stesso tipo di argomenti. E se le emozioni negative sono quelle in grado di tenerci connessi per più tempo, la battaglia contro la dipendenza da social sembra persa in partenza. A indurre il doomscrolling è anche l’Infinite scroll, lo scorrere infinito, caratteristica per cui i contenuti su social media e siti web non sono organizzati in pagine da selezionare, venendo invece proposti in una sequenza unica che fa sì che l’utente non abbia bisogno di attivarsi per caricare altre informazioni. Eliminando l’esigenza di un click per passare alla notizia o al post successivi, che vengono così assimilati per inerzia, i lettori restano incollati allo schermo. 

Non guardare l’Apocalisse

Contro il doomscrolling e la sovrastimolazione da social media esistono alcuni efficaci rimedi. Limitare il tempo per lo scrolling, soprattutto prima di andare a dormire, usando timer e app che mirano a ridurre l’uso complessivo dei cellulari. Controllare le fonti delle notizie, non affidandosi ad account e siti acchiappa clic. Smettere di seguire gli account che incoraggiano lo scorrere passivo. Insomma, consumare contenuti in modo più consapevole, senza farsi logorare dall’esigenza di leggere il cinquantesimo post di fila sullo stesso argomento. Nel prossimo futuro Instagram darà agli utenti la possibilità di intervenire sull’algoritmo, cancellando le vecchie preferenze già registrate e adattando il sistema a nuovi interessi. Non è detto, però, che i timer e le modifiche agli algoritmi dei social basteranno per fermare l’invasione di un negativo amplificato da visualizzazioni e condivisioni. 

Istinto di sopravvivenza, semplice curiosità, paura di perdersi qualcosa, inerzia prima di andare a dormire. A prescindere dal motivo per cui si inizia a scorrere, la scelta di continuare a farlo, e di non attivarsi per interrompere il nastro infinito di storie che compaiono sullo schermo, ha un impatto significativo sulla salute mentale. Se la ricerca di notizie online è ispirata da un’esigenza di controllo, di fronte a un elenco incessante di dati si rischia l’effetto contrario: un senso paralizzante di impotenza che cresce con il passare delle ore. Essere esposti di continuo all’inesorabile avanzare della Catastrofe non ha niente a che fare con l’essere preparati o aggiornati sullo stato del mondo. Meglio essere informati e sopraffatti o astrarsi dal presente per preservare la propria serenità? Guardare l’apocalisse in diretta non la fermerà. Girarsi dall’altra parte neppure. Da qualche parte, a metà tra due estremi, dev’esserci una soluzione più sana. ♦︎