Era il 10 aprile del 1998, quando in Irlanda del Nord, a Belfast, venne firmato l’ “Accordo del Venerdì Santo”. Non è stato un evento da poco, in quanto con gli anni è stato in grado di sedare il clima di odio tra la popolazione cattolica della regione, formata principalmente da originari irlandesi, e quella protestante, formata in larga parte da coloni protestanti. Dopo il lungo trentennio buio, fatto di terrorismo, perquisizioni notturne e coprifuoco, quel piccolo lembo di terra appartenente al Regno Unito poteva finalmente riprendere a respirare e forse, in futuro, a prosperare. Inutile dire che ciò fu dovuto anche a fattori esterni, tra cui gli accordi di libera circolazione tra Ulster ed Eire in capo a tutti. Accordi che permettevano alla popolazione originaria irlandese di sconfinare, senza essere segnalata come potenziale terrorista. Poter trovare i propri cari nello Stato confinante, senza essere perquisiti solo perché il proprio cognome era sospetto, così come i simboli religiosi portati addosso.

L’Irlanda del Nord ha vissuto epoche molto buie. Emblematica fu la vicenda del “Bloody Sunday” di Londonderry del 30 gennaio 1972(se si è protestanti, altrimenti la parola “London” in quel nome proprio non la si vuol sentire, preferendo il più gaelico “Derry”), dopo che una manifestazione in origine pacifica si trasformò in una strage di civili. Quindi i conflitti armati, le bombe alle uscite dei pub, i forti legami con l’ETA basca, che tutt’ora non sono completamente sciolti.

Tuttavia, sembra che la storia si stia rapidamente ripresentando. Ancora in fase embrionale, ancora legata ad episodi più che a lotta sistemica. Tuttavia, nel Bogside e nel Creggan, i due quartieri simbolo del nazionalismo dell’Ulster, qualcosa ha ripreso a muoversi. Abbastanza da spingere la polizia a commettere un errore che dimostra come dal passato nulla si sia imparato, ossia entrare per condurre perquisizioni. Corretto forse, ma visto come oltraggio dalla popolazione locale che, anche se non armata, anche se non aderente alla New IRA (nuova forma di coalizzazione di lotta armata nata dalle ceneri della tristemente nota IRA, “Irish Republican Army”), si è sempre dimostrata pronta a scendere in piazza, per ostacolare l’irruzione armata. In questa situazione, in questo clima, che un colpo sparato appositamente per mancare il bersaglio e solo a scopo intimidatorio, vagando, possa uccidere una giornalista, prima vittima dopo lunghissimi anni di pace. Una vittima simbolica, innocente, come chiunque sia sempre stato vittima di quel tipo di guerriglia.

E’ la storia d’Irlanda, in fondo, sin dal “Insurrezione di Pasqua” di Dublino del 1916, dove le uniche teste che caddero furono quelle delle braccia armate, e non delle teste pensanti. E’ la storia di un popolo di origine celtica, occupato dalla mano della Corona per ottocento anni e che, come una nota canzone rivoluzionaria sosteneva, per altri ottocento combatterebbe per la liberazione totale dell’isola. Forse non tutti, forse ormai nemmeno i più. Ma il sentimento che alla fine qualcuno sia ancora di troppo è rimasto. E se da un concetto superiore dell’Unione Europea e della libera circolazione era stato a lungo sedato, ora anche questa briglia rischia di sciogliersi.

Se si arriverà ad un “No Deal” o se si ristabilirà la frontiera con la Repubblica d’Irlanda, i morti che si conteranno per mano di bombe e braccia armate torneranno a livelli elevati. Nessun Irlandese purosangue, dopo oltre vent’anni di (sebbene simbolica) riunificazione con i cugini dell’Eire, accetterebbe senza rancore verso la Corona un nuovo muro ergersi sulle rive del Foyle. E la Storia, nuovamente, non avrà insegnato assolutamente nulla, nemmeno nel pragmatico mondo britannico.

Bono Vox, vocalist degli U2, rock band Dublinese, nella canzone “Sunday Bloody Sunday” si chiedeva per quanto a lungo tale guerra logorante andasse ancora cantata, prima che si estinguesse. All’inizio del millennio, tutti pensavamo di poter affermare che finalmente il vinile potesse essere rimesso nel cassetto. Il 23 giugno 2016 invece, col referendum sulla permanenza o meno nell’Unione Europea del Regno Unito, è stato spolverato e rimesso sul giradischi, in attesa di essere acceso. Teresa May ed il Governo Britannico, successivamente, non hanno minimamente aiutato.

Se la decisione di ristabilire la frontiera verrà perpetrata, assisteremo in futuro ad una rinascita della lotta armata di matrice nazionalista, all’urlo di “Ireland Alone Again” a ricordare, ironicamente, proprio lo slogan di Farage per il sì alla Brexit: “We want to make Britain Great Again”

NoSignal Magazine

You may also like

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Politica