«Sarò con te, e tu non devi mollare, abbiamo un sogno nel cuore: Napoli torna campione». Finalmente le parole, più volte intonate in questi anni di tentativi, hanno un altro sapore. Da napoletano dovrebbe essere più facile descrivere queste emozioni. In realtà non è così. Cosa significa essere campioni d’Italia dopo 33 anni di attesa? Ho solo tante immagini che scorrono nella testa, tante emozioni che mi destabilizzano tutt’ora e poche, davvero pochissime parole.

La grandezza dell’impresa realizzata è difficile da mettere a fuoco. La magnitudine di questo trionfo la capiremo tra qualche anno, quando il successo ottenuto in questo modo ci verrà presentato non solo come unico, ma irripetibile. Irripetibile perché mai era capitato che una squadra dominasse così un campionato partendo così sfavorita. Irripetibile perché non esistono precedenti di una vittoria che fosse auto sostenibile; con un saldo praticamente nullo concluso in positivo a fine stagione.

Inoltre in estate aveva salutato il capitano, Lorenzo Insigne. Con lui Dries Mertens, Kalidou Koulibaly, David Ospina e Fabian Ruiz; sicuramente tra i giocatori più importanti, iconici e rappresentativi della squadra. Chi è arrivato a sostituire questi colossi della società? Giocatori semisconosciuti e altri mai sentiti nominare prima e nonostante ciò perfettamente funzionali alla causa e con un valore potenziale sviscerato dal lavoro, assurdo e impensabile, di Luciano Spalletti. La chiave di questo successo è stata probabilmente la coesione tra società, allenatore, giocatori e tifosi che non si vedeva dai tempi di Maradona.

Ciò che fece Diego fu proprio questo: caricarsi sulle spalle tutta la realtà napoletana e fare da collante tra le parti. Napoli è la città più bella del mondo, mi espongo. Se non ci vivi non puoi capire cosa significhi essere di qui. Si dice che chi venga a Napoli pianga 2 volte: quando arriva e quando se ne va. È proprio vero. Napoli è risate, spensieratezza, scanzonatezza allo stato puro. Napoli però è anche sofferenza repressa nascosta dietro a sorrisi smorzati. È essere emarginati dal resto di Italia senza alcun motivo; i napoletani sono gli africani di Italia’, come disse Diego.

La grandezza del 10 eterno fu questa. L’unico potente che si schierò dalla parte dei più deboli. Scelse di venire a Napoli e come Masaniello si fece carico della povertà e tristezza che vide camminando per i quartieri, iniziando a depredare le grandi potenze del nord dall’egemonia di cui godevano, in ogni ambito.  Chi legge potrebbe pensare che si stia parlando solo di calcio, di ‘ undici idioti che corrono dietro ad un pallone. Non è così. Per dimostrarlo cito Winston Churchill, il quale dichiarò: «Gli italiani vincono le partite di calcio come fossero guerre e perdono le guerre come fossero partite di calcio».

Io scrivo perché la comunicazione per me rappresenta una voce che quando può urla ai quattro venti quanto sia orgogliosa di essere e Napl. La città di Gomorra. La città di Mare Fuori. Della delinquenza, della criminalità organizzata, della terra dei fuochi, della povertà. La città dove c’è sempre il sole. «La peggior città più bella del mondo. Ai piedi del vulcano più bello e pericoloso del mondo. Un milione di persone ridono sapendo che potrebbero morire in un’istante. Ma la consolazione c’è sempre: la fine arriverebbe guardando il più bel mare inquinato del mondo». Ebbene sì, essere campioni d’Italia vale tanto, ma essere campioni in Italia vale ancora di più. Il Napoli torna, finalmente, campione.

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