Il film di Todd Philips, Joker, strizza l’occhio al cinema d’autore, discostandosi completamente dal tradizionale cinecomic. Il risultato è a dir poco disarmante.

A scanso di equivoci, il cinema di oggi lascia sempre meno spazio alla flebile arte dell’introspezione. Tendenza, questa, dovuta all’immediatezza dei tempi moderni, caratterizzati da una narrazione necessariamente comprensibile, senza fronzoli, farcita da computer grafica ed effetti speciali per dare al pubblico ciò che il pubblico non sa di volere (dovrebbe, a questo punto?), ma che accetta in mancanza di alternative. Per dirla alla Tarantino, ciò che c’era una volta a Hollywood, oggi non c’è più.

Ma cosa succede quando si rompono gli schemi e la “regola” viene infranta? Nulla di che, si aprono banalmente trattati umanistici e conferenze letterarie sul web riguardanti la novità del momento, il fiore all’occhiello temporaneo pluripremiato in occasione delle mostre cinematografiche più prestigiose, nonché pronto a fare la solita incetta di oscar a Los Angeles. In questo caso, però, non ci si ferma qui.

Joker di Todd Philips quest’anno non si prende la sola responsabilità di rappresentare la categoria, ma si trascina dietro fiumi di polemiche relative alla violenza dei contenuti e all’ambiguità del messaggio trasmesso. Ora, c’è da fare un po’ di chiarezza. Da un personaggio quale il Joker, vi aspettavate forse che vi portasse a spasso per i boschi in stile Dora l’Esploratrice? O che si limitasse a volteggiare su e giù per le scale come gli ospiti di Sanremo? Suvvia…

Addirittura si sente parlare di membri dell’Academy che si sarebbero rifiutati di visionare la pellicola, come se fossero soggetti ad un improbabile Parental Advisory. Forse ci si dovrebbe preoccupare maggiormente dei veri problemi di violenza che attanagliano la società da tempo, specie negli Stati Uniti, piuttosto che preoccuparsi dei presunti insegnamenti sbagliati di un film, e ringrazio di cuore Michael Moore per avercelo ricordato. Il vero pericolo sarebbe NON vedere questo film. Todd Philips ci mostra un personaggio tanto fittizio quanto realistico, immerso in un contesto sociale così perverso e individualista da rappresentare lo specchio perfetto dei nostri tempi. Se portato allo stremo, il lato jokeriano può emergere in superficie da ognuno di noi. Cambia espressione, va dalla terapista, vuole farsi accettare attraverso il cabaret con il solo scopo di strappare una risata al prossimo, e si ritrova a terra in un vicolo pestato da ragazzini. Ci disturba quel ghigno disegnato in volto, ci fa paura l’evoluzione da semplice pagliaccio a killer brutale con il passare delle scene, ed è giusto che sia così. Non è giustificabile sotto nessun punto di vista, se non per il fatto che la società nella quale viviamo quotidianamente, nel peggiore dei casi, può portarci a diventare ciò che non avremmo mai voluto o pensato di essere. È questo l’interrogativo sul quale dovremmo riflettere. Attraverso un’interpretazione sublime da parte di Joaquin Phoenix (la cerimonia sarà solamente una formalità, l’Oscar è già suo), Arthur Fleck ci mostra un disagio esistenziale difficile da riconoscere; funge da catarsi, attraverso i traumi vissuti si fa personificazione delle nostre paure e ci sottopone a un esame di coscienza generale. Basterebbe questo a renderlo già un cult, e a poco più di una settimana dall’uscita nelle sale, siamo già abituati a parlarne sotto questa luce. Forse in un periodo cinematografico più qualitativo rispetto a quello attuale ne avremmo discusso in termini differenti, nella media dei grandi film dell’anno, ma sarebbe pretestuoso, per non dire ingiusto.

Le origini del folle criminale si discostano completamente dal fumetto, non se n’è mai fatto mistero, con il libero arbitrio della sceneggiatura sono decantate magistralmente da regista e soci fino all’ineluttabile epilogo, dove il caos si traveste da autorità, i genitori di un Batman ancora lontano cadono a terra circondati da iconiche perle, e seguaci improvvisati del pagliaccio devastano una Gotham in preda all’anarchia.

In piedi sul cofano di una macchina, l’uomo che voleva far ridere il mondo vede finalmente il suo pubblico, e sorride, trovando la felicità mai avuta prima.

Trailer del film Joker
Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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