Il 25 novembre è la giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. ?
In Italia all’attivo sono stati registrati 130 femminicidi solo nel 2018, che non è ancora terminato, con una media di 150 omicidi l’anno: circa uno ogni due giorni. ?
Una donna — madre, moglie, figlia, amante, nonna, amica, essere umano — viene uccisa ogni due giorni. E viene chiamata violenza di genere perché ad ucciderla non è un incidente d’auto, un terremoto o un rapinatore malintenzionato. Non è nemmeno lo stupratore che ci aspetta dietro l’angolo, l’uomo nero di cui ci hanno insegnato ad avere paura. Ad ucciderla è suo marito, compagno, fidanzato, amante, amico.
Non è normale che sia normale, perché dobbiamo smetterla di raccontarci che le coppie litigarelle sono belle, che intanto si fa pace facendo l’amore sul divano, che il privato di una coppia debba appunto rimanere nella coppia, che fare attenzione alle urla dei vicini che ogni settimana si tirano le stoviglie addosso sia un modo per impicciarsi negli affari altrui.
Non è normale.
Si chiama violenza di genere ogni atto di violenza fondata sul genere, che provochi un danno o una sofferenza fisica, sessuale, psicologica; è una violenza di genere contro genere: maschio contro femmina, ma anche femmina contro maschio. Non cadiamo nelle solite banalizzazioni: la violenza esiste da sempre e non esistono “categorie” di esseri umani che ne sono esenti, quindi, uomini, donne, bambini e anziani; etero e omosessuali, trans e bisex; neri, bianchi, gialli e caffè latte.
Quindi no, questo non vuole essere un articolo in cui punto il dito contro “voi maschi trogloditi”, ma, anzi, è un articolo in cui punto il dito contro l’umanità, nessuno escluso.

Sapete quando si è iniziato a parlare di violenza domestica? E da quando è diventata un argomento dibattuto?
Faccio queste domande perché penso che per riconoscere un fatto occorra prima conoscerlo e la violenza di genere non esula da ciò: se nessuno mi spiega prima cos’è, capire di star subendo o di star facendo violenza non è cosa semplice. Solo dopo la conoscenza si può parlare di comprensione e solo dopo possiamo assumerci le nostre responsabilità.
Volevo cogliere l’occasione per prendere spunto da un interessantissimo incontro tenutosi al Campus Luigi Einaudi di Torino, venerdì 23 novembre intitolato RI-CONOSCERE PER CAMBIARE , in collaborazione con Telefono rosa di Torino, il CUG e il CIRSDE:
Nonostante tutti gli interventi mi ha particolarmente colpito quello di Valeria Gennero che riguardava come venisse trattato l’argomento in uno dei settori più influenti di tutti i tempi: il cinema.

Nel cinema (cinema hollywoodiano, quindi parliamo di grandi distribuzioni che ora definiremmo “mainstream”) possiamo parlare di cinema pre e post anni ‘60.
Pensate che nella prima era hollywoodiana era vietato parlare nei film di perversioni sessuali (come erano all’ora definiti gli atti omosessuali), sesso esplicito, droga, parolacce volgari e violente oltre che scene simpatizzanti verso realtà criminali. E la violenza all’interno delle coppie? Non veniva presa in considerazione, perché non si pensava nemmeno lontanamente che fosse sbagliata.

Leggete di seguito:

– Rhett le prende con forza le spalle e poi mettendole le mani intorno al capo sussurra:”Guarda le mie mani, mia cara, ti potrei fare a pezzi volendo e lo farei se questo servisse a toglierti Ashley dalla mente e allora proverò con un altro sistema: metterò le mani così, ai due lati della testa e schiaccerò il cranio come una noce per farti uscire questa idea fissa”.

Un dialogo pesante, che ovviamente così estrapolato dal contesto vi dirà poco, ma chi parla è l’amato di Rossella O’Hara a pronunciare queste parole proprio alla sua amata, nel celebre film Via con il Vento(1939).
Stesso spessore lo si ritrova nel film Un tram chiamato desiderio(1951) in cui la protagonista nonostante i soprusi del marito non si allontana da lui, continuando ad amarlo.
Non penso che questi film siano sbagliati e diseducativi, al contrario: hanno segnato un epoca e sono imprescindibili per qualsiasi persona si dichiari amante della settima arte. Però, appunto, sono lo specchio della società loro contemporanea.

Arriviamo quindi a parlare della New Hollywood, chiamata così perché grazie alla rivoluzione del 1968, alla sdoganamento della libertà sessuale e al movimento “no war” si diede spazio, anche in un’ industria conservatrice come Hollywood, a problemi legati alla controcultura: Un uomo da marciapiede(1969), Easy Rider(1969), Qualcuno volò sul nido del cuculo(1975) sdoganano una quantità di taboo da far crollare i soffitti: parliamo di malattie mentale, prostituzione, personaggi che si stagliano contro il mito del grande sogno americano, ma non di violenza domestica.
Prendiamo ad esempio Una pazza storia d’amore(1973), di Paul Mazursky, regista all’avanguardia, spesso lodato per lo spazio che lasciava ai personaggi femminili nelle sue produzioni. Nel suo film il marito, incapace di accettare la fine del suo matrimonio riprende a corteggiare assiduamente la sua ex, che ormai convive con un altro, fino a che una notte i due tornano insieme e lei rimane incinta. Quel corteggiarla assiduamente probabilmente oggi lo definiremo stalking, mentre la scena che qui sembra tanto romanticamente far tornare insieme la coppia prevede un quasi stupro, essendo che il marito usa non poca forza per convincere la donna a compiere l’atto sessuale.

Nel 1980 succede che il mondo inizia a farsi un’idea via via più definita di ciò che è la violenza domestica: vi è un aumento dei centri anti-violenza, una cospicua sponsorizzazione economica che aiuta le ricerche in questo campo, un aumento di sanzioni legali efficaci che avvalorano l’idea di crimine e un’attenzione specifica sull’impatto che ha la violenza sul nucleo famigliare.

Ecco che esce Toro Scatenato(1980), del grande Martin Scorsese, interpretato dall’altrettanto grande De Niro. Un film, sul pugile Jacke La Motta, che è tra i primi a parlare di violenza di genere in un preciso contesto storico-sociale: una famiglia di immigrati italiani espatriati in America. Ancora una volta però la responsabilità della violenza sembra ricadere sulla vittima.

Film nei quali l’argomento viene in parti sdoganato, ma nei quali rimane ferma l’impressione che la donna sia complice della violenza stessa che subisce.

Nel 1991 esce A letto con il nemico, interpretato da Julia Roberts l’anno dopo l’uscita di Pretty Woman (ecco con chi si è ritrovata la dolce Cenerentola, ironizzavano i tabloid dell’epoca). Eppure questo film racconta la relazione morbosa e sadica in cui incappa la protagonista. Qui viene sottolineato come la legge non può far nulla per aiutarla “nessun ordine restrittivo mi terrà lontano da te, perché sei mia moglie” le ricorda il dolce maritino e a lei non resta altra scelta se non ammazzarlo.

Dopo il 1990 sono usciti molti altri film in cui finalmente si affronta consapevolmente la tematica della violenza domestica e di come le donne vi reagiscano.
Pomodori verdi fritti(1991): un’ altra opera meravigliosa in cui si racconta una storia da punto di vista femminile in cui non mancano episodi di violenza di coppia.
Enough(2002), con Jennifer Lopez in cui la protagonista non ha altra risorsa (amici, parenti, polizia) se non quella di attaccare a sua volta; The brave one(2007), con Jodi Foster; Grindhouse(2007) di Tarantino
Film in cui la donna reagisce, attacca a sua volta, usa la violenza come prova della sua legittima indipendenza.

Che bello ragazze, quindi o si diventa Wonder Woman e si impara ad imbracciare una pistola o si rimane succubi di noi stesse, perché incapaci badare a noi stesse.
Bello, eroico, ma poco reale.
Non voglio vivere in un mondo in cui si risponda alla violenza con altra violenza, in cui devo seguire un corso di difesa personale o imparare a tirare i pugni per sentirmi protetta.
Non voglio che si imponga l’immagine di donna — giustiziere, che fa da sé, che è forte, libera e capace di badare a se stessa.

Voglio poter decidere io che immagine dar di me, senza che questo implichi discriminazioni di sorta.
Voglio aiuti, reali ed efficienti.
Voglio essere ascoltata e capita, senza sentirmi in difetto per le mie debolezze.
Voglio assistenza, voglio essenza: perché sono un essere umano e rispetto te come voglio che tu rispetti me: anche se ho paura, anche se non so tirare calci rotanti e anche se mi fido della persona che amo.

Per questo dico a tutti e, in questo caso soprattutto, a tutte che non siamo sole!

Nel 2017 sono state 2.018 le sentenze definitive per violenza sessuale, 1.827 quelle per stalking.
Denunciamo, parliamo, urliamo aiuto.
Dobbiamo capire una buona volta che la nostra vita vale tanto quanto quella degli altri e nulla ci può far sentire inferiori: nessun pregio e nessun difetto, nessuna mancanza e nessuna sostanza.

E impariamo, capiamo perché solo così possiamo combattere l’ignoranza.
Se non per noi, per le nostre figlie.
Perché questo orrore può succedere a chiunque.

NoSignal Magazine

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