A volte mi chiedo quanti conti lascerei in sospeso se domani per qualche motivo non dovessi più svegliarmi. Mi capita di pensare a tutte le parole che non ho mai detto, perché ero sicura che ci sarebbero stati altri giorni per dirle. Invece ogni cosa sembra precipitare in continuazione quando meno te lo aspetti, come un fragile castello fatto di carte impilate.

Immaginate un mandala pazzesco, il frutto di un lavoro spossante e minuzioso, che, una volta ultimato, viene distrutto. Ecco, la realtà è un mandala: un momento passeggero e impalpabile, da imprimersi nella mente prima che svanisca per sempre.

Tutti vogliamo che le cose restino uguali, accettiamo di vivere nell’infelicità perché abbiamo paura dei cambiamenti, delle cose che vanno in frantumi. Non ci rendiamo conto che la sola vera trappola è rimanere legati a qualsiasi cosa, aggrapparsi disperatamente agli oggetti come se potessero rievocare l’emozione che ci aveva tolto il fiato in passato. Si cade facilmente nella tentazione di conservarli come segno tangibile di un ricordo o un’esperienza dalla quale non sappiamo assolutamente distaccarci.

Per quanto ai nostri occhi sia difficile da accettare, distruggere significa sapersi abbandonare alla pienezza dell’istante mentre accade, godere della volatilità delle cose. Significa permettersi di ricominciare instancabilmente a impilare le carte da capo.

Perché anche se l’equilibrio non può durare in eterno, quell’istante in cui esiste vale il tempo trascorso a cercarlo. Accende il desiderio di ricostruirlo ancora e ancora ogni volta che le carte ti crollano davanti, per non rimanere atrofizzato nella contemplazione di un vecchio oggetto impolverato, ricordo sbiadito di una felicità che non ti appartiene più.

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