Cara Marghe,

volevo scriverti da tempo ma poi ho preso paura. Scrivere e di conseguenza dedicare parole a qualcuno è una responsabilità. Più grande di quella che sembra. Ci vuole altrettanto coraggio a scriverti una lettera mentre ti ho davanti. Siamo in aula studio a fare le mancate studentesse perfette. La cosa divertente è che tu pensi che io stia studiando. Invece ti sto scrivendo una lettera. 

Più ti osservo mentre fai finta di studiare (dai lo so che stai guardando le ultime notizie sulla Formula Uno) e più penso a quante cose abbiamo vissuto. L’amicizia è esperienza. È condivisione di vissuto. Più si condivide e più ci si vive. Mi ricordo le nostre avventure in classe, i tuoi video su Snapchat, l’intervallo passato a guardare i Tik Tok. E poi il weekend. Quando al bancone della discoteca abbiamo ordinato lo stesso cocktail, ho capito che non eri poi così male. Dopotutto eri solo una mia compagna di classe. L’essere amiche è tutta un’altra storia.

Una storia che tu mi hai saputo raccontare in maniera semplice. Dopotutto la semplicità è ciò che dà luce al tuo carattere. 

Mi hai insegnato cos’è la fiducia e come quest’ultima abbia ancora ragione di esistere attraverso una lunga quanto concisa lista di gesti. Come quando il sabato sera mi abbracciavi mentre ballavamo o quelle volte dove guardavi me mentre alla consolle partiva il Pagante.

Quelle situazioni dove mi facevi ridere di gusto quasi a sentire meno quella pesantezza che a volte si siede (con molta grazia) sul mio stomaco.

Ma soprattutto, ho capito che di te mi potevo fidare quando abbiamo iniziato l’università. Fare la pendolare non è cosa facile ma tu, ancora una volta, l’hai resa semplice. Abbiamo sempre qualcosa da dirci. Gli argomenti non finiscono. Le parole non si nascondono. Anzi, si incastrano quasi alla perfezione. Si accomodano anche loro. In 22 anni di vita ho capito che stai veramente bene con una persona solo quando riesci a essere indifferente alla potenza sfrontata del tempo. E del suo tic tac. Fastidioso e continuo. 

Ecco con te, nei tremila viaggi in treno, mi sono sentita, anche se solo per un’ora e undici, più forte del tempo. Cazzo che figo. Potrei quasi metterlo sul curriculum.

Scherzi a parte, vorrei concludere in maniera semplice e spontanea come mi hai insegnato tu però non so se mi venga bene:

Io e te, dopo una giornata pesante, sulla mia Polo bianca a cantare “Maledetta Primavera”

‘Che fretta c’era a scriverti questa lettera Marghe?’ 

Lo sappiamo io e te.

Gio

NoSignal Magazine

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