Cara Ali,

riparto proprio da te a scrivere. Era ormai troppo tempo che non avevo il coraggio di aprire un foglio di word e trasformare in parole ciò che mi passava per la testa. E allora, inizio di nuovo a farlo pensando a te. Penso a te ma in realtà penso anche un po’ a me, a noi due insieme. 

Sei una bella canzone che ho iniziato ad ascoltare nel 2020. Pieno lockdown. Mentre il mondo si chiudeva in casa, io mi aprivo con te. Mi hai fatto scoprire il mondo che tieni nascosto nell’anfiteatro della tua anima con molta gentilezza. è con te che ho imparato quella frase della canzone dello Zecchino d’oro: ‘goccia dopo goccia nasce un fiume, un passo dopo l’altro si va lontano’. Insieme siamo andate lontano rimanendo sempre vicine. E mentre io temevo l’avvenire, tu mi insegnavi che il futuro è semplicemente un presente che non si è fatto spaventare dalle ragnatele del passato. Me lo hai detto un giorno con così tanta semplicità che io ci ho creduto. E se ti scrivo questa lettera è perché ci credo ancora. 

E a leggere da queste prime parole, sembra tu mi abbia insegnato solo principi filosofici e pipponi sulla vita non richiesti. Ma per fortuna abbiamo fatto (e stiamo ancora facendo) quelle piccole cose che costituiscono il sentimento di quest’amicizia. Mi hai fatto scoprire la tua Langa e mi hai portato al Sacrario più o meno dieci volte. Abbiamo fatto grandi gite in macchina, scavallato colline per poi ritrovarci davanti  un cielo nuvoloso. E allora puntualmente esordivi con la frase: «oggi non si vede bene, c’è troppa nebbia». Ci domandiamo spesso se il problema siamo noi o il perfetto tempismo del meteo. Prima o poi ci appelleremo ad Andrea Giuliacci.

Abbiamo ascoltato tante manciate di canzoni, ognuna diversa e speciale. Tutte sono state un puzzle da inserire nel quadro della nostra vita. 

Ci siamo ritrovate a Campovolo in mezzo a centomila persone ad ascoltare quelle che sono le nostre cantanti preferite. Abbiamo vissuto con tutte le nostre energie quel concerto nonostante fossimo sotto il sole dalle due di pomeriggio.

Per me sei tutte le canzoni belle che sono state scritte. Quelle che ci hanno fatto emozionare. Quelle che hanno dato una forma al dolore. Sei molto probabilmente tutte le emozioni che si provano ma non si riescono mai a scrivere, né tanto meno a mettere in musica. 

Ma sei soprattutto quella canzone che hai fatto ascoltare a me e Fra quel giorno a Torino. Sedute attorno al tavolo della cucina, stanche dalla giornata, fai partire ‘Crescere’ dei Rovere dal tuo telefono. Chitarra e voce. Ci emozioniamo tutte e tre. Quei 3 minuti e 48 secondi di canzone mi hanno fatto capire quanto fossi nel posto giusto e con le persone giuste. 

Ho capito che passiamo la nostra esistenza a decorare e ritoccare quella che è la nostra idea di felicità o quella che ci hanno mostrato come pubblicità progresso.

E invece la felicità cos’è? Cosa può essere? 

 Per me è ascoltare 3.48 di canzone dimenticandomi degli esami che devo dare, dell’ansia, delle paranoie che abitano il mio cervello, delle sfide della quotidianità, delle scelte fatte in passato.

Ecco tu, ancora una volta, mi hai insegnato che le ragnatele del passato non vanno per forza bucate. Ci si può soffiare contro dolcemente. Ed è solo così che si riesce a credere nel per sempre delle cose.

‘Riusciremo a crescere’ dice la canzone. Con te non è poi così male. Crescere.

Ti voglio tanto bene,

Gio

NoSignal Magazine

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