Ciao Ale,

Da quando sei partita ho pensato tanto. Salutarti è stato complicato e l’avrai notato probabilmente anche tu. Non volevo emozionarmi, volevo mantenere quel sottile strato di apatia che mi ha sempre contraddistinta. Ma questa volta non ce l’ho fatta. Lo sai meglio di me che i distacchi non li vivo bene e pure le mie parole saranno stanche di descrivere quella malinconia a cui puntualmente mi aggrappo. Ma questa volta è stato diverso. Non mi sono aggrappata. Mi ha tenuto  compagnia.

Ho conosciuto la malinconia come una di quelle strane persone che si incontrano in posta o al bar e con le quali, senza troppe spiegazioni, inizi a scambiare due parole. So già quello che penserai in questo momento, “che strano Gio, tu parli pure con i muri”.  E hai ragione ma questa volta è stato diverso. Questa signora malinconia ha letto i sentimenti che attraversavano il mio volto e  mi ha domandato “perché continui a essere triste?”. E io sono rimasta zitta, ho sorriso, e ci hanno pensato le lacrime a rispondere per me (che palle). Mi ha detto <<nei rapporti, quelli veri, si fa il tifo per la felicità dell’altro. Lei sta già tifando per te, manchi solo tu>>

E poi non lo so Ale, il mondo mi è sembrato per un secondo, una partita di pallavolo, in cui c’erano centinaia di persone a fare il tifo. Io mi sono vista. Ero in un angolo, tutta triste perché già sapevo che la squadra avversaria era forte e la sconfitta era vicina. Ecco lì, ho capito che non avevo proprio capito un cazzo dalla vita. Mamma Ross (che tra l’altro ti saluta), me lo ha detto chiaramente l’altro giorno <<vedi il bicchiere sempre mezzo vuoto, ma perché continui a farlo?>>.

Questa signora malinconia mi ha fatto capire che non posso piangermi addosso sperando in un tuo ritorno perché sarebbe come insegnare ad una tartaruga a correre. La realtà che mi circonda è bella, quella che ho dentro la mia testa è ancora tutta da scoprire. Forse a dirla tutta, l’ho sempre schifata ma in realtà nasconde delle belle verità.

Da quando sei partita mi sono resa conto che ho paura della cosa che più mi affascina al mondo: il cambiamento. Mi fa male allo stomaco vedere gli altri fare la valigia ma allo stesso tempo ho le farfalle nello stomaco quando devo fare la mia di valigia. Ho sempre pensato che accompagnare gli altri al binario di una stazione o al gate di un aeroporto significasse per me non crescere mai. Dopo che ti ho salutata, sono tornata a casa ascoltandomi Adele a tutto volume pensando alla monotonia della mia quotidianità. La tua invece era tutta da scoprire, tutta da vivere.

Però Ale, solo adesso mi domando, quanto si può crescere in un tratto di strada di 15 minuti, ovvero la distanza tra casa mia e casa tua? Quante cose possono cambiare, quante cose si possono capire in quell’arco di strada? All’andata sono salita sulla macchina emozionata perché sapevo sarebbe stato il nostro primo-ultimo incontro. Al ritorno invece, sono scesa dalla macchina con un macigno di consapevolezza sul petto. Tu stavi partendo. E poi sei partita. I prati su cui abbiamo camminato ci sono  ancora ma noi non più. È ora per entrambe di camminare scalze su nuovi prati senza sapere se ci faremo male oppure no. È ora per entrambe di camminare senza sapere se ci terremo la mano per i prossimi chilometri. È la vita ed è solo vivendo ogni giorno che si trovano risposte a questi punti interrogativi. O punti interrogativi a punti esclamativi. Chi lo sa.

Chissà quante volte dovremo danzare con il cambiamento. A volte balleremo un walzer, altre volte un jive. Adesso sto imparando i passi del walzer perché ho esaurito le forze. O forse è la signora malinconia che  mi ha fatto capire che il cambiamento, se accettato, diventa una dolce musica da cui farsi guidare. E se non lo si accetta , diventa tutto un gorgo dal quale è facile farsi inghiottire.

 Dopo tutto questo zibaldone di pensieri, ti dico che questa lettera rimarrà nel mio cassetto della scrivania come le altre cento che a volte rileggo imbarazzata.

Ma se per qualche strana coincidenza, arrivasse mai nelle tue mani, voglio che tu sappia che ti penso spesso. E non solo quando bevo un gin Lemon ma anche quando vado in stazione. Vedo quel famoso binario 11. Ti penso quando leggo una poesia di Brecht su Instagram, quando ascolto Lucio Dalla. “E in mezzo a questo mare, cercherò di scoprire quale stella sei, perché mi perderei se dovessi scoprire che stanotte non ci sei” (cogli la citazione)

Ti voglio bene,

Giorgia

P.S l’hai ascoltata la canzone di De André che ti ho mandato?

NoSignal Magazine

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