È una brutta storia quella che è emersa attorno al magistrato Luca Palamara, ex membro del Consiglio superiore della magistratura, e che rischia di riflettersi in questo sull’intero sistema decisionale in tema di reati dell’Italia. Un sistema che si è scoperto basato principalmente sui pregiudizi, sulle paure e sulla smania di potere di coloro che, teoricamente, dovrebbero essere per loro stessa definizione super partes, in grado di garantire in Terra l’equità e il rispetto dei propri diritti. Tuttavia, purtroppo e per quanto messo in evidenza dall’ultima inchiesta, ciò non sembra assolutamente essere mai stato.

Pensare ad un consiglio superiore della magistratura cui esponenti non abbiano un ideale politico forse sarebbe chiedere troppo, ma che essi non siano politicamente schierati sarebbe forse il minimo sindacale. Soprattutto, però, sarebbe disdicevole se qualcuno di loro, dal giorno alla notte, decidesse di prendere di mira per una semplice visione differente un personaggio politico, magari escludendolo di fatto dalla possibilità di concorrere alle elezioni. Ma se questo genere di comportamento forse ce lo potremmo aspettare in Malawi (dove, guarda caso, si stanno discutendo tematiche simili)è assai più difficile pensare che possa accadere nella nostra Repubblica italiana. Eggià, proprio quella fondata sul rinnegamento del fascismo e che in una parte della sua esistenza anche tali metodi utilizzò nei confronti dei rivali e che adesso, invece, si sente tradita proprio da chi, per definizione, sarebbe anti-fascista.

Le rivelazioni di Palamara hanno messo in luce un sistema oscuro, nel quale quasi mai si è sentito parlare di “Giustizia” in senso assoluto, relegando le decisioni ad un mero calcolo politico volto a favorire, volenti o nolenti, i partiti di sinistra. Una violenza inaudita messa in atto dall’organo decisionale dei reati, che nulla ha davvero da invidiare a quei tentativi che caratterizzano il Novecento di mettere a tacere con la forza i propri rivali. Perché, a livello politico, che differenza avrebbe fatto ammazzare Matteotti oppure imprigionarlo accusandolo di colpo di stato, estromettendolo così dalla possibilità di concorrere per il Parlamento?

Cambiano i modi, forse, ma quasi mai i termini: se l’Italia è stata fascista, in fondo, u motivo ci sarà stato e forse è proprio per colpa degli istinti intrinseci e non controllati degli italiani. Una smania di potere che, insomma, ti offusca la mente e ti convince di poter decidere circa il bene e il male, una volta raggiunti i vertici del potere.

Ma non chiamatela “Giustizia” quella che viene pronunciata nelle sentenze italiane, per favore. Chiamatela “Massima decisione dell’Organo decisionale dei reati”, oppure semplice “Ufficio contestazioni”: sarebbe un nome forse assai più consono e indicato per il caso. Ma la colpa di tutto questo non nasce semplicemente negli ultimi anni e fonda le sue radici in una serie di errori nel codice giudiziario italiano: a partire dall’interpretazione della legge e passando per la “presunzione di colpa”, arrivando sino ad uno scarso controllo di coloro che dovrebbero essere i guardiani del giusto: il Consiglio superiore della magistratura.

Che il mondo sia ingiusto, purtroppo, lo sappiamo da fin troppo tempo. La creazione di apposite strutture volte a garantire l’equità decisionale in fondo nacque proprio per questo, ma ancora una volta abbiamo dimostrato di averlo calpestato, creando un numero enorme di vittime che mai, forse, avrà giustizia. E non si tratta tanto di Silvio Berlusconi — lui dalla vita ha ben poco di cui rattristarsi — ma di tutti quei volti ignoti, forse già morti, che potrebbero essere entrati all’interno dello stesso sistema, con una sentenza che, piuttosto che giusta, appare aleatoria.

NoSignal Magazine

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