Quanto è difficile rimanere sulla cresta dell’onda senza sforzarsi troppo? Chiedetelo a Rita Ora. La popstar britannica di origini kosovare, esplosa nel 2012 con “ORA”, miracolato album d’esordio, fece perdere le sue tracce in fretta, senza neanche lasciare un biglietto. O meglio, qualcosa ha lasciato. Una serie di singoli pubblicati con il contagocce che l’hanno traghettata indenne fino ad oggi, forti di un successo che ha del clamoroso se si pensa alla costanza come fonte primaria di esso. Tra una canzone e l’altra vanta pure la partecipazione alla trilogia di “Cinquanta Sfumature”, per non farsi mancare niente. Ma forse neanche questo spiega come abbia fatto a non finire nel dimenticatoio fra le promesse mancate del pop. A pensarci bene, non si può dire che la sua carriera sia stata esente da episodi spiacevoli fino ad oggi, per usare un eufemismo. Per cominciare, il suo simpatico ex Calvin Harris le vietò categoricamente di inserire nel nuovo disco le tracce a cui avevano collaborato insieme. Ma la serie di sfortunati eventi non finisce qui. La protetta di Jay-Z ha dovuto fare i conti con la Rock Nation, non proprio la più rilassante delle etichette, considerati i cavalli di razza da gestire. A seguito dell’accusa da parte della britannica nei confronti di Rihanna, “colpevole” secondo lei di trattenere per sè i brani migliori arrivavano in major per poi scartarli poco prima dell’uscita di “ANTI” (l’ultimo album della barbadiana, ndr), la questione arrivò in tribunale, ponendo inevitabilmente fine al contratto. Cosa non si fa per evitare la concorrenza.

E qui entra in gioco la testardaggine salvifica di un’artista che dopo sei anni di travaglio riesce finalmente a partorire il tanto agognato seguito.

La tracklist si compone di sedici tracce e ovviamente accorpa ben sei singoli usciti dal 2012 fino ad oggi. Come si poteva immaginare, il pop la fa da padrone, con alcune variazioni sul tema più o meno riuscite. “Anywhere”, “Your Song” (scritta insieme a Ed Sheeran) e “Only Want You” si compongono di una ritmica folk-dance su cui la voce della Ora si poggia egregiamente senza esagerare in riverberi e autotune. Sa bene di non averne bisogno e lo fa notare. “Summer Love” è forse la traccia più interessante del disco, con una forte struttura drum and bass nel ritornello che si smorza gradualmente nelle strofe, concedendo maggiore spazio ai fiati; se non avessi letto “Rudimental” nei credits, mi sarei persino stupito di una traccia simile all’interno dell’album. Sono presenti anche rimandi soul con una loro dignità, come in “Velvet Rope”, ballata romantica tutta piano e voce, abbellita da cori in background e rapidi scorci di fiati.

Gli esperimenti degni di menzione si fermano qui; nel resto del disco è racchiusa l’essenza originale di Rita Ora, quel pop duro e puro che l’ha portata alla ribalta nel panorama odierno delle interpreti femminili. Spiccano su tutte “Hell Of A Life”, “Keep Talking” (feat. Julia Michaels) e “New Look”, la traccia più catchy fra le altre.

Phoenix è una rinascita da comode ceneri, come suggerisce il titolo. Ascoltandolo, viene quasi da chiedersi se con tutto il tempo (non richiesto) a disposizione, non si potesse fare di più. Sta di fatto che con una voce del genere, la bella di origini kosovare potrebbe tranquillamente essere accostata a una certa Beyoncè. Per il momento, rimane la speranza che possa trovare definitivamente la propria strada discografica, magari senza aspettare altri sei anni.

Giorgio Rolfi
26 anni, di cui 19 trascorsi nella musica.  Cinema, videogames e dipendenza da festa completano un carattere non facile, ma unico nel suo genere... Ah, dimenticavo, l'umiltà non è il mio forte. 

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