L’inizio dell’estate è stato segnato a livello europeo dal lungo braccio di ferro intercorso tra i governi dell’Unione europea circa il piano di aiuti a sostegno di un’economia sostanzialmente distrutta dal passaggio della pandemia di coronavirus. È stata una lotta all’ultimo sangue, con il blocco dei Paesi più colpiti — come l’Italia e la Spagna — a fronteggiarsi con i cosiddetti Paesi frugali, come l’Olanda, la Danimarca, la Svezia e la Finlandia. Uno scontro che, più di un’unione, ha dato l’idea di una grandissima e confusa disunione europea, dove ognuno ha avuto a cuore soltanto il proprio giardino senza pensare alla tutela di quelli che dovrebbero essere i propri alleati.

A riempire la vicenda di un velo di ironia — se non di pathos drammatico — è stato il fatto che a dimostrarsi più intransigenti sono stati proprio quei Paesi a guida progressista e che, teoricamente, sono più vicini agli ideali di sviluppo in positivo della comunità europea. Eppure, proprio loro per primi — guidati dalla liberalissima Olanda — sono stati quelli a favore del pugno duro soprattutto verso Roma, la più colpita dalle conseguenze del Covid-19: non soltanto a livello economico ma anche a livello di numero di morti.

Ma la vera domanda, a questo punto, è la seguente: che futuro ha un Europa che approva un accordo come l’attuale stesura del Recovery Fund? Un’Europa che lascia da parte l’assistenzialismo per favorire misure destinate ad accrescere il debito pubblico dei propri componenti e che si oppone, al tempo stesso, alla loro condivisione? Che significato hanno, allora, tutti gli anni passati a parlare della necessità di un graduale avvicinamento se, alla prima difficoltà, ci si rivela essere più distanti che mai?

Soprattutto, però, non possiamo dimenticarci di quelle che sono le condizionali del Recovery Fund: ossia che i fondi saranno disponibili soltanto dal prossimo 2021. E nel frattempo? Come faranno i Paesi ad intervenire per salvaguardare quelle aziende che sono state fortemente destabilizzate — se non quasi distrutte — dal lockdown?

Molto semplice: potranno accedere ai fondi messi a disposizione dal Mes, incrementando ulteriormente il proprio indebitamento e col rischio di portarsi in casa la vigilanza della tanto poco cara alla Grecia Troika. E soprattutto, andranno ad incrementare i già cresciuti debiti in una situazione che potrebbe davvero rivelarsi non più sostenibile.

Per l’Italia, gli accordi di Bruxelles sono stati una Caporetto. Fondi non disponibili subito, liquidità terminata e necessità da qui a poco tempo di dover accedere realisticamente al Mes. Una sciabolata sulla già fragile economia — uscita malridotta dal periodo di serrata — destinata ad essere pagata con lacrime e sangue nei prossimi anni. A meno di una netta svolta, allo stato attuale comunque impensabile. In uno scenario che, purtroppo, non lascia presupporre per il meglio: ma in fondo, qualcuno era convinto che l’avvocato del popolo non si liquidasse con una pesante parcella?

NoSignal Magazine

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  1. […] miliardi in più rispetto ai 30 già previsti dal Next Generation EU e dagli altri fondi europei (https://nosignalmagazine.it/quale-futuro-con-il-recovery-fund/). L’obiettivo è quello di portare la produzione interna di microchip dall’attuale 9% […]

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