L’impresa compiuta da Sofia Goggia nella discesa libera di queste Olimpiadi invernali è semplicemente e senza giri di parole un capolavoro.

Ma… facciamo un passo indietro, anzi facciamone 23.

Sì, 23 sono i giorni che separano il 24 Gennaio, data della rovinosa caduta della Goggia nel SuperG di Cortina, all’impresa in terra cinese.

Dopo lo spavento iniziale, la bergamasca si rialza e taglia il traguardo fra gli applausi incoraggianti del pubblico, ma la diagnosi è estremamente severa: distorsione del ginocchio sinistro, frattura del perone e una lesione al legamento crociato.

Un infortunio certamente non di poco conto, soprattutto considerati i precedenti in carriera dell’atleta bergamasca che nel 2013 già si era sottoposta ad un’operazione allo stesso legamento crociato.

Una delle più grandi qualità di Sofia, però, è quella di non arrendersi mai davanti a niente e nessuno e fin da subito gli obiettivi sono chiari: tornare a competere in tempo per partecipare alla spedizione azzurra a Pechino. Dopo la prima settimana passata in fisioterapia, inizia la fase di carico e, come racconta alla Gazzetta dello Sport il preparatore Flavio di Giorgio, la Goggia ha a disposizione sei giorni per completare un lavoro per cui solitamente si preventivano tre mesi.

Partenza! Direzione: Pechino

Arriva la rinuncia al ruolo di portabandiera alla cerimonia d’apertura di queste olimpiadi. A prendere il suo posto un’altra atleta bergamasca, la snowboarder Michela Moioli, ma il forfeit alle Olimpiadi non è neanche un’ipotesi: continua la preparazione e il 6 febbraio con una storia su Instagram annuncia a tutti i tifosi la partenza alla volta del paese del sol levante.

C’è chi sostiene che la volontà di Sofia sia quella di partecipare al SuperG per riprendere il feeling con la neve, ma l’atleta azzurra concentra tutte le energie fisiche e mentali nella gara di discesa libera che rappresenta, sin da bambina, il suo personale sogno nel cassetto, come si può leggere dal foglio obiettivi dello sci club quando ancora non aveva compiuto dieci anni.

Il sogno Olimpico

“Sogno” è una parola fulcro in questa storia. Perché, per quanto quello dello sportivo sia un lavoro, è innegabile quanto la parte psicologica nell’affrontare le difficoltà e nel perseguire un’ambizione siano fondamentali. L’impresa di Sofia è stata fortemente sostenuta dall’ardente passione di una donna che a novembre compirà trent’anni, ma che, così come quella bambina con gli obiettivi molto chiari in testa, è ancora follemente innamorata e appassionata a ciò per cui ha lavorato duramente per tutta la vita, combattendo contro mille e più difficoltà. Il sogno olimpico è ciò che le ha dato la forza per “dare tutto” e superare l’infortunio, per non mollare quando chiunque altro lo avrebbe fatto ed è ciò che dice ai suoi fans sui social proprio al termine della gara.

Il fatto che maggiormente mi ha colpito in questa storia è che Sofia non abbia vinto l’oro. Per soli 4 metri questa storia non ha quel finale perfetto che hanno solitamente le fiabe, eppure non sembra pesare nulla. Troppo spesso nello sport si crede che la vittoria sia l’unico motivo per cui vale la pena partecipare.

Se in assoluto non si possono negare le sensazioni che rimangono impresse dopo i grandi successi, Sofia con un bacio alla telecamera, un urlo con cui sembra voler sfogare tutto ciò che il destino le ha messo davanti nell’ultimo mese e il sorriso stampato sul viso a fine gara ci ricorda quanto la consapevolezza di aver dato tutto e di aver compiuto un miracolo sportivo valga più di tutto l’oro del mondo, anche di quello olimpico.

NoSignal Magazine

You may also like

Leave a reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

More in Sport