“Uhm oggi ho voglia di cambiare un pochino, ma non ho la più pallida idea di cosa cucinare… cosa m’invento?”. In una situazione del genere a chiunque verrebbe subito in mente di consultare vari siti web dedicati, come il salvavita Giallo Zafferano, o tutorial su YouTube (per raccontarvene una, mia nonna si guarda i video di ricette arabe, tutte le volte le prova e tutte le volte che io assaggio mi dice “miseria ma sono proprio brave queste marocchine”). I meno tecnologici invece penseranno di cercare su ricettari scritti dagl’innumerevoli chef di fama nazionale e mondiale, o semplicemente di ricorrere a qualche antica “invenzione” delle proprie nonne o zie. Tutto rapido ed alla portata di tutti, ma io cercavo qualcosa di meno classico, qualcosa di più unico nel suo genere… qualcosa da raccontare.

Ovviamente è sempre più facile a dirsi che a farsi, ma questa volta la fortuna è stata dalla mia parte. Mi sono ricordata infatti che mio zio collezionista accanito di cui vi avevo parlato qualche articolo fa, giorni addietro mi aveva passato un vecchio quadernetto acquistato all’ultimo mercatino dell’usato di Chieri, subito prima che incominciasse l’“apri – chiudi” causa pandemia, ed incredibilmente non condannato a smarrirsi nei meandri dei suoi infiniti armadi. Ho deciso quindi di dargli un’occhiata, sperando di spulciare qualcosina.

Reperto dalla collezione di Giovanni Cornaglia

Per andare proprio nel dettaglio è una sorta di registro pieno zeppo di ricette, soprattutto dolci, ma anche confetture e liquori. La grafia è molto particolare, quasi “svolazzante”, sicuramente non di una mano dei giorni nostri. L’utilizzo di termini non più comuni al gergo moderno (per citare due esempi, zuccaro o amandorle) e in più le dosi rappresentate in once, libbre e ottavi, e non in grammi o millilitri, mi ha fatto pensare potesse trattarsi di un ricettario assai datato, probabilmente della prima metà dell’ottocento o persino precedente. Non ho molti dubbi al riguardo in realtà, dato che posso contare su uno zio che “funge” da macchina del tempo. Proprio lui mi ha spiegato infatti che soltanto nel 1845 venne ufficialmente adottato in Piemonte il sistema metrico decimale grazie a Carlo Alberto, non prima, quando venivano appunto utilizzate le misure “piemontesi” riportate nel quaderno.

Nella maggior parte delle ricette sono soltanto riportati gli ingredienti e le dosi, dando quasi per scontato l’intero procedimento da seguire, e inoltre le stesse quantità non sono sicuramente da ricettina da 4 persone, bensì molto più abbondanti. Considerando che a quell’epoca non esistevano ancora ristoranti e men che meno pasticcerie, forse qualche caffè nelle grandi città come Torino, si potrebbe presupporre che si tratti di un ricettario di un cuoco al servizio di qualche famiglia nobiliare in qualche palazzo se non addirittura, chissà, alla Corte reale. Altra particolarità: dopo qualche pagina la scrittura cambia, diventando quasi per così dire più moderna, dall’inchiostro si passa alla matita e alcune delle ricette delle prime pagine vengono riproposte con dosi stavolta in grammi o litri. Forse il quaderno è passato di mano o è stato lasciato in eredità ai successori di un misterioso chef? Chi lo sa.

Cercavo qualcosa di unico, e penso di aver centrato il segno… una medaglia signori? Scherzi a parte, come ho già scritto prima sono però presenti soltanto ricette di dolci e liquori, tra cui quella del favoloso Vermouth, una tra le più ricercate perché da sempre tenuta molto riservata, quasi segreta. Così, dopo essermi temporaneamente trasformata in Piero Angela o in quel suo bel figliuolo per un “buonasera e ben ritrovati a Superquark” (beh ok, forse sono entrata troppo nel personaggio), ho deciso di riportarvi una di queste ricette. Ho scelto di mostrarvi quella della pasta sfoglia, così com’è scritta sulle pagine del quaderno, essendo anche una delle poche ad avere qualche riferimento alle procedure da mettere in atto.

“1 libbra farina semola, s’impasta con acqua fredda, un po’ di sale, un piccol pezzo di burro, si fa la pasta un po’dura, si tira larga, dopo si mette una libbra di burro impastato, si tira 4 volte una contraria all’altra, dopo si lascia riposare. Si formano i pasticetti e si mettono a forno ben caldo.”

Che dire, ve l’avevo detto che non era proprio tra i testi più moderni. Saltano subito all’occhio la semplicità e l’immediatezza dei termini utilizzati (come ad esempio “pasta un po’dura”), senza troppi giri di parole, o la mancata precisazione della temperatura del forno e dei tempi di cottura. Difficile dire se l’autore, o gli autori, li volessero dare per scontati, o se non si tratti piuttosto di un trucco per mantenere il segreto della perfetta riuscita della ricetta, senza svelare “il tocco” del maestro che fa la differenza.

Scusatemi tanto, ma nelle vesti del nostro caro Piero Angela mi sento proprio bene, quindi voglio darvi ancora una piccolissima, quanto curiosa informazione: sappiate che una libbra piemontese vale, anzi valeva, 368,8 grammi. Se il vostro primo pensiero dopo aver letto questo articolo fosse stato “ma io una ricetta delle sfogliatelle la trovo dappertutto”, vi do assolutamente ragione. Questa però è tutta un’altra storia.

NoSignal Magazine

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