Ebbene, il giorno del giudizio è arrivato. Lo scorso 4 novembre si è chiusa negli Stati Uniti l’elezione presidenziale, a seguito di una campagna elettorale pirotecnica che mai come quest’anno ha diviso il popolo americano. Scontri etnici da una parte e risposta alla pandemia dall’altra, l’uscente Donald Trump e Joe Biden si sono sfidati utilizzando sino all’ultima arma nel proprio arsenale per convincere sino all’ultimo americano possibile. Ed alla fine, questa volta, il presidente in carica non è stato confermato per il secondo mandato, aprendo la strada a quattro anni segnati dalla presidenza di Joe Biden (fatti salvi, ovviamente, i ricorsi per i riconteggi delle schede negli Stati chiave).

Non tanti si sono però ancora congratulati con il duo Biden-Harris per la vittoria, anche in virtù delle diatribe giudiziarie che segneranno i prossimi giorni e per le polemiche sollevate dall’ampio utilizzo del voto postale. Dalla Russia, per esempio, mentre il Cremlino ancora non si è espresso è arrivata l’investitura da parte del capo dell’opposizione Aleksei Navalny, il quale non ha perso occasione per affermare come, in certi Paesi del mondo, la Democrazia riesca ad affermarsi.

Già, la Democrazia. Quella che si è espressa tramite i disordini di piazza, le censure da parte dei social network e l’oscuramento dei discorsi dei candidati. Una Democrazia che non ha fatto altro che mettere in luci le discordanze del mondo americano, lasciando al nuovo presidente — qualunque esso sia — il compito di ripristinare una situazione ormai uscita fuori da ogni controllo.

Se gli otto anni segnati da Barack Obama erano stati contraddistinti da un sostanziale immobilismo rispetto al modello standard d’azione sia internazionale che interno, i quattro anni di Trump lasciano un Paese spaccato a metà. Non tutto per colpa sua — la morte di Floyd e la pandemia non sono certo imputabili alla sua persona — ma è stato soltanto grazie alla sua durezza se la situazione sociale è andata a polarizzarsi come mai accaduto neanche negli anni delle rivolte dei cittadini afroamericani.

“Welcome to the (un)fabulous America”, potremmo dire. E soprattutto, benvenuti nella nuova terra dei disordini sociali.

NoSignal Magazine

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