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84,000 anime sotto il diluvio prima, e baciate dal sole poi. Metafora nostalgica del rap, sopravvissuto all’inferno e accomodatosi di diritto in paradiso.

Parliamoci chiaro, arrivati in quel di Milano, già tetra e piovosa di suo, le premesse per il Marrageddon, l’evento rap dell’anno, non erano delle migliori. Credo di avere ancora attaccato sotto le dunk qualche filo d’erba come souvenir di un ippodromo a cui non sono stati pagati gli straordinari. E non hanno aiutato le lacrime della Gen Z affranta dal terrore di perdersi Paky, Shiva, Anna Pepe e compagnia cantando (si fa per dire). Lo stacco generazionale creatosi nel parterre si notava già dalle prime battute, con gli over 30 reduci da colpi di Montarbo e rave nei jeans. A loro due goccioline non potevano certo turbare il pensiero stupendo di tornare adolescenti a suon di Mr. Simpatia e King del Rap.

Passata la pioggia, superati i tornelli, il panorama è di quelli da cartolina. Una distesa infinita, con il palco che sembra un miraggio – dopotutto it’s a long way to the top – ma il parco Snai La Maura non esita a fabbricare sogni, anche quello impossibile di trovare mezzo metro dove appoggiare i piedi senza sottoporsi alla fango terapia. C’è un ragazzino on stage, vuole farsi le ossa. Il flow è quasi old school, prende, scuote e urla in faccia al pubblico che alla tavola rotonda del rap ci sono ancora posti disponibili per i giovani che guardano il trono onorando la causa. Se non lo conoscete, non starò nemmeno a dirvi chi vi meritate, ma un ascolto a Kid Yugi è d’obbligo se volete viaggiare aggiornati e in prima classe.

Non ci si ferma, e se è lecito sorvolare sui problemi tecnici dell’impianto dopo il nubifragio (il povero Miles ne ha pagato le conseguenze più degli altri), l’esibizione di Anna Pepe lascia un po’ l’amaro in bocca. La giovane rapper di La Spezia si dimostra acerba, accusando una mancata gavetta difficilmente perdonabile in contesti del genere.

A ristabilire l’equilibrio ci pensano Ensi e Nerone. Evidentemente per loro la gavetta non è ancora finita, visti i risultati ben al di sotto rispetto a ciò che avrebbero meritato negli anni . Verrebbe da credere che abbiano vissuto il Marrageddon come una sorta di oscar alla carriera, è facile notarlo da come si mangiano il palco. Gli sguardi assenti della maggior parte del pubblico non rendono giustizia al duo del nord Italia, rei forse di non aver mai scelto la strada più semplice. Sic transit gloria mundi, questi vecchietti ne sanno qualcosa.

Su Paky è dura esprimere un pensiero migliore di quello trasmesso da Amadeus dietro le quinte del palco. Difficile vederlo a Sanremo nei prossimi tempi, e va bene così, meglio non criticare troppo chi si trascina dietro folle adoranti, è ancora troppo presto. L’esibizione di Shiva illumina i seguaci e compiace i detrattori, nato e cresciuto da profeta in patria, che la critica gli sia lieve.

E luce fu. Da Cogoleto con gli incastri metrici più chiacchierati del genere, Tedua è sicuramente tra le sorprese più apprezzate dal pubblico del Marrageddon. Quattro tracce sono troppo poche per chi ha seguito ogni suo passo fino ad addentrarsi in quella selva oscura che gli sta restituendo gli anni persi. Non darà il suo cuore a una hoe, ma l’anima sul palco la lascia sempre, anche a mezzo servizio.

La vecchia guardia

La prima parte del festival se ne va, insieme a un entusiasmo a scoppio ritardato. La soddisfazione del pubblico è un coito interrotto, quasi a voler trattenersi in vista dei piatti stellati in dirittura d’arrivo. Il silenzio durato dieci minuti è irreale se si pensa alla mole dell’evento, 84,000 anime alla ricerca di un segno in grado di giustificare la partecipazione, cosa non facile di questi tempi.

Ci pensa Fibra. Il pioniere di Senigallia si presenta in sordina, senza i noti manierismi tipici del suo ambiente, lo stesso che ha creato lui bussando alla porta dei discografici nel lontano 2004 con Mr. Simpatia, il Sacro Graal del rap italiano, e con Tradimento due anni più tardi. La scaletta è un rollercoaster fra pezzi storici e nuovi classici entrati prepotentemente nell’immaginario collettivo. Bugiardo, Fenomeno e Stavo Pensando a Te sono i primi pezzi della serata degni di un parterre di tale portata. La proverbiale mancanza di autotune (come se ne avesse bisogno) avrebbe compiaciuto Meneguzzi e la sua crociata, chissà se ha seguito il concerto sui social. Ad avercene.

Marrageddon
Il rap riparta dal Marrageddon

Le ultime sfumature di un meraviglioso tramonto meneghino lasciano spazio a una stenderia di led da far invidia ai Pink Floyd (no, ma sticazzi), e sul trono si siede di diritto il miglior live performer degli ultimi dieci anni. Quando si parla di Salmo, appare complicato incasellare le sue performance, prive di qualsivoglia logica o buon senso. Lui per primo non ha mai amato le categorizzazioni, i suoi pezzi ne sono la dimostrazione in quanto manifesti di pensiero. Felpa da Peppa Pig e guanti da Dexter, è lui la vera wreckin’ ball del Marrageddon, e se questa volta il ginocchio è stato risparmiato, lo stesso non si può dire delle casse durante il dj set.

Mai come oggi appare chiaro quanto il rap sia riuscito a togliersi l’etichetta di brutto anatroccolo della musica italiana, offrendosi al grande pubblico con l’abito da sera cucito addosso

Un altro silenzio cala tra le file di un prato ormai asciutto. Il momento è giunto, l’attesa si trasforma presto in fibrillazione. Si accendono le luci ed eccolo lì, il king del rap sale sul palco per prendersi tutto quello che è suo. Si parte forte con Badabum Cha Cha, il suo biglietto d’ingresso nel circo discografico italiano timbrato nel 2008. Marracash è una vecchia volpe, e la scelta inziale di un ritorno al passato si rivela azzeccata. Ripercorre le tappe della sua carriera con pezzi tratti da Marracash, King del Rap e Status, concede addirittura una Niente Canzoni d’Amore ai più romantici.

Non c’è tempo per rifiatare, a mezzanotte staccano tutto. Finito un amarcord, ne inzia subito un altro insieme a Guè, l’amico di una vita, visibilmente emozionato (o modificato, difficile a dirsi). Con una disinvoltura che solo vent’anni di carriera possono regalare, i due discepoli delle Sacre Scuole riportano in vita Santeria, un album ancora in grado di ispirare la maggior parte della scena. La ciliegina sulla torta la portano Madame, Lazza, Blanco e Mahmood, ospiti a sorpresa per i feat di Persona e NOI, LORO, GLI ALTRI. Fuochi d’artificio, applausi, sipario.

Il rap oltre il Marrageddon

Spesso ci si chiede quali eventi abbiano effettivamente determinato la storia della musica. Alcune canzoni valgono più di altre, vantano prestigio e influenze differenti, e lo stesso si può dire dei concerti. Il Marrageddon non solo vale più di ogni altro fenomeno hip hop dello stivale, ma traccia un nuovo percorso per un genere fin troppo bistrattato da sedicenti recensori della critica.

Se si pensa alla faticaccia di Fibra e compagnia per sussurrare alle case discografiche la propria esistenza, è quasi commovente ammirare il panorama dalla vetta. Mai come oggi appare chiaro quanto il rap sia riuscito a togliersi l’etichetta di brutto anatroccolo della musica italiana, offrendosi al grande pubblico con l’abito da sera cucito addosso. La presenza degli 84,000 all’ippodromo è lì a testimoniare l’incoronazione definitiva di un artista asceso all’olimpo del genere. Ma si sa, pesante è la testa di chi porta la corona, così come pesanti sono le responsabilità di un’intera scena che non può e non deve voltarsi indietro, perché non tutti sono bravi a cadere.


Fotografie di Valentina Bernaudo e Simone Belli