La storia quasi sconosciuta della notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970, quando un tentativo di golpe portò l’Italia sull’orlo della dittatura
Il contesto storico: gli anni di piombo e Junio Valerio Borghese
Dicembre 1970. Sono da poco iniziati gli anni di piombo, il periodo storico che vede una contrapposizione netta e marcata da parte dell’estremismo extra-parlamentare, sia rosso che nero. Scontri in piazza, violenze, terrorismo, rapimenti e omicidi politici. Si stima che tra il 1968 e 1982 gli atti eversivi costeranno la vita a più di quattrocento persone. Proprio in questa cornice comincia a farsi notare un certo Junio Valerio Borghese: ex comandante della famigerata Xª Flottiglia MAS della Repubblica Sociale Italiana, ex presidente del Movimento Sociale Italiano e fondatore del movimento estremista Fronte Nazionale, 13 anni prima aveva abbandonato il MSI per avvicinarsi all’estrema destra extra-parlamentare. L’obiettivo di Borghese, conosciuto anche come il nome di «Principe Nero», è creare una rete segreta e anti-parlamentare, rivalutando l’uso della violenza nella lotta politica, volta a sovvertire l’ordinamento democratico della paese.
Le origini del golpe
Le indagini successive al tentato colpo di stato, passato alla storia come «Il Golpe Borghese» o «la Notte di Tora Tora», riveleranno che la pianificazione era iniziata più di un anno prima dell’effettiva messa in opera della macchina eversiva. Il Fronte Nazionale, fondato e presieduto da Borghese, aveva infatti cominciato a tessere la trama del futuro golpe già dal 1969: contatti con vari imprenditori, con i principali movimenti di estrema destra extra-parlamentare (Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale), scambi di informazioni con una serie di parlamentari e, soprattutto, con alcuni ufficiali superiori delle Forze Armate dell’epoca. Il Fronte Nazionale aveva poi costituito dei gruppi clandestini armati, composti da appartenenti al movimento stesso, sparsi in tutto il territorio nazionale. Il piano di Borghese prevedeva l’utilizzo di questi gruppi, coadiuvati da personale militare e delle forze di polizia, per gli interventi sugli obiettivi prefissati: l’occupazione del Ministero dell’Interno e del Ministero della Difesa, delle sedi Rai, dei mezzi di telecomunicazione principali, infine la deportazione degli oppositori presenti in parlamento. Le indagini porteranno alla luce anche quello che sarebbe dovuto essere essere il programma politico del governo Borghese, tra cui il piano per l’attuazione del cosiddetto ‘Patto Mediterraneo’ con la Spagna di Francisco Franco, il Portogallo di Marcello Gaetano (successore di Salazar) e la Grecia dei Papadopoulos, oltre alla richiesta di ingenti fondi agli USA in cambio del contributo italiano alle campagne militari nel sud-est asiatico e in Vietnam.
Golpe Borghese: scatta l’ora X
La messa in opera del piano eversivo, l’ora X che dà inizio alle danze, scatta su ordine diretto di Borghese, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. Il primo step, ovvero la mobilitazione, incomincia a Roma, con un gruppo afferente al movimento Avanguardia Nazionale e comandato dal terrorista nero Stefano Delle Chiaie, che si raduna ed entra al Ministero dell’Interno dove, grazie alla collaborazione di alcuni funzionari ministeriali, sottrae le armi e il munizionamento destinate ai golpisti. Un secondo gruppo si riunisce invece in una palestra di via Eleniana, per attendere la consegna delle armi, che sarebbe dovuto avvenire per ordine del tenente dei paracadutisti Sandro Saccucci e a opera del generale Ugo Ricci. Tra le persone radunate, come stabilito in seguito dalle indagini, sembra che ci siano anche due ufficiali dei carabinieri. Lo stesso tenente Saccucci dirige personalmente un terzo gruppo di golpisti, quest’ultimo con il compito di arrestare gli oppositori politici e deportarli in Sardegna.
La presa del Ministero della Difesa e delle sedi Rai
Entrano ora in gioco il generale Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio, entrambi dell’Aeronautica Militare ed entrambi iscritti alla loggia massonica P2, che prendono posizione al Ministero della Difesa, mentre una colonna dell’allora Corpo Forestale dello Stato, composta da 187 uomini e guidata dal maggiore Luciano Berti, si apposta nei pressi degli studi televisivi della Rai in via Olimpica. Dalle indagini verrà chiarito che il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat sarebbe dovuto essere consegnato nelle mani dei golpisti del Fronte Nazionale direttamente da Licio Gelli, colui che pochi anni dopo sarebbe diventato maestro venerabile della P2. Contemporaneamente alla mobilitazione avvenuta a Roma, teatro operativo principale, cominciano le mobilitazioni periferiche in Umbria, Marche, Toscana e Calabria.
Contrordine: il golpe non si fa più
Pochi minuti prima delle due del mattino dell’8 dicembre, quando le operazioni sovversive si trovano già in una fase avanzata (per non dire che sono quasi ultimate), arriva il contrordine del Principe Nero: golpe è annullato. I gruppi eversivi, una volta ricevuto l’ordine di ritirata, rimettono tutto a posto, persino le armi trafugate dal Ministero dell’Interno – tranne una, che risulta ancora oggi dispersa. La colonna del Corpo Forestale viene fermata appena in tempo: era già tutto pronto per declamare il proclama ufficiale dell’avvenuto colpo di stato, che avrebbe dovuto leggere il Comandante Borghese in persona, e che recita così:
«Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di Stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell’aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso TRICOLORE, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all’amore: ITALIA, ITALIA, VIVA L’ITALIA!»
– Junio Valerio Borghese, proclama alla nazione, 1970
Il mistero della ritirata
Le commissioni parlamentari d’inchiesta (sia quella per il tentato golpe di Junio Valerio Borghese che quelle legate alla loggia massonica P2), a oggi, non sono riuscite a ricostruire il motivo per cui è arrivato lo stop di Borghese. L’ex presidente del MSI non ha rivelato la motivazione reale nemmeno ai suoi collaboratori più fidati, anche se alcune fonti interne all’organizzazione eversiva hanno sostenuto che l’ordine di stop sarebbe arrivato quando Licio Gelli ha comunicato a Borghese il mancato sostegno finale da parte degli USA, del SID (i servizi segreti) e dei Carabinieri. Probabilmente il vero motivo per cui alle due, quella notte, il golpe ormai quasi attuato si è interrotto non verrà mai reso pubblico. Una pagina di storia da cui imparare però che la libertà è ancora oggi un privilegio che in pochi, nel mondo, possono permettersi; e soprattutto che, proprio perché è un privilegio, ci sarà sempre qualcuno pronto a togliercelo. ♦︎