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Se ne sente parlare sempre più spesso e quasi tutti i dipendenti lo hanno sperimentato almeno una volta: nel 2019 il burnout è stato classificato nell’ICD-11 dall’OMS come un occupational phenomenon, vale a dire una sindrome strettamente correlata al mondo del lavoro. Stanchezza cronica, sfiducia nelle proprie capacità, esaurimento delle energie: sono questi i sintomi con cui si manifesta il burnout, gli stessi con cui si manifestano gli effetti di una dipendenza. Non è un caso che lo psicologo statunitense H. J. Freudenberger, pioniero nelle ricerche sulla sindrome da esaurimento professionale, prenda in prestito questo termine dal mondo delle tossicodipendenze. In quel contesto il termine burnout (traducibile dall’inglese con ‘scoppiato’) è usato in ambito colloquiale per indicare gli effetti devastanti che possono derivare dall’abuso cronico di sostanze. Infatti, durante il burnout, il lavoro diventa un circolo vizioso di stanchezza, improduttività e sfiducia, da cui ci si vorrebbe liberare ma a cui non ci si può sottrarre. Con l’elaborazione dell’MBI (Maslach Burnout Inventory) la psicologa Christina Maslach rende il burnout misurabile, sottoponendo a ogni individuo un questionario capace di stabilire il grado di esaurimento da cui è affetto. Nella società della performance e del consumo, non sempre i ritmi di lavoro sono stati in grado di rispettare il benessere mentale degli individui. Nonostante, nel periodo post-Covid, la sensibilizzazione legata al tema della salute mentale sia diventata fondamentale nelle aziende, il burnout è diventato negli ambienti lavorativi un fenomeno sempre più frequente. Ma quali sono i fattori che lo possono scatenare?

La sindrome da burnout è legata a un ambiente di lavoro tossico, che non è in grado di rispettare le necessità dei dipendenti. Essendo considerato dall’OMS una forma di stress cronico prolungato può avere notevoli effetti sulla salute. Tra i fattori che più comunemente possono scatenare questo tipo di esaurimento rientrano, ad esempio, un carico di lavoro eccessivo, una scarsa equità nell’ambiente di lavoro, la mancanza di sostegno tra colleghi e il conseguente mobbing. Ma uno dei fattori più comuni che favorisce l’insorgere di questa sindrome è il conflitto lavoro-famiglia. Secondo i dati raccolti da una ricerca gestita da Indeed Italia su un campione di 1000 persone, a soffrire di burnout sarebbero soprattutto i genitori, nel tentativo di conciliare lavoro e famiglia. Dai dati raccolti in questa indagine risulta infatti che un dipendente su due finisca in burnout nello sforzo di dividersi tra nucleo familiare e ritmi lavorativi. È necessario sottolineare che il 62% delle persone colpite sono donne. Tuttavia, ad accomunare entrambi i sessi è la ricerca di un datore di lavoro che si mostri disponibile alle esigenze e che sia in grado di rilasciare agevolazioni; a questo proposito un obiettivo comune è l’ottenimento del congedo parentale universale, che garantisce 16 settimane di congedo a prescindere dal genere, salvaguardando una maggiore libertà di organizzazione. Inoltre, ciò che è emerso da questo studio è che la maggior parte delle aziende risentono ancora di stereotipi di genere: il 65% delle donne-campione soffre di un senso di colpa latente dovuto a una visione patriarcale della gestione dei compiti in famiglia. Gli strumenti per cambiare ci sono, ma il cambiamento sembra essere ancora in atto:


«La chiave per rendere politiche e benefit di questo tipo davvero efficaci è che devono essere supportati da una cultura che li sostenga e li normalizzi. È importante che le aziende preparino i propri manager in modo che comprendano quali sono i vantaggi di tali strumenti e possano sostenerne l’utilizzo».

Ilaria Caccamo, Managing Director Indeed Italia

L’esaurimento fisico ed emotivo, il senso di depersonalizzazione e soprattutto la riduzione dell’efficacia professionale, tipici del burnout, risultano ancora più incrementati se applicati al contesto lavoro-famiglia. Come è stato messo in evidenza dagli studiosi Zedeck e Mosier i due ambiti sono più legati di quanto si pensi: i problemi familiari possono influenzare quelli professionali e viceversa. Secondo la ‘teoria del travaso’ tutto ciò che avviene in uno dei due ambiti influenza anche l’altro. La migrazione di situazioni di stress con derivante burnout da un ambito all’altro potrebbe alimentare nervosismo e circostanze logoranti. I numeri, inoltre, ci mostrano che alcuni settori hanno una maggiore probabilità di avere dipendenti in burnout rispetto ad altri. I più a rischio sono quelli del settore manifatturiero, sfiorando il 77,4%, seguiti da area trasporti e sanità. Si riconferma come il settore meno a rischio di burnout l’Information Technology, con il 60%.

Burnout
Burnout, una sindrome sempre più diffusa tra i lavoratori dipendenti

Ma dipende tutto dalle aziende. Come possono fermare questo cronico ciclo di stress? Jennifer Moss, membro del Global Happiness Council, ha provato a dare una soluzione a questa problematica nel suo saggio The burnout epidemic (Harvard Business Review Press, 2021). In un’intervista Moss sostiene che per poter prevenire il burnout dei dipendenti e la loro conseguente insoddisfazione è necessario avere a livello organizzativo sistemi e politiche in atto che non siano tanto focalizzati sulla cura di sé (proponendo classi di yoga, iscrizioni sovvenzionate a palestre o tecnologie per il benessere) quanto invece sulle cause profonde dell’esaurimento. Ciò che dovrebbero fare i capi non è ridurre le ore, trovare strategie alternative per favorire la collaborazione tra colleghi o alleggerire il carico individuale. Al contrario invece andrebbero suggeriti un più aperto dialogo tra i capi e i dipendenti stessi, in modo da tenere conto delle necessità del singolo e permettergli di avere una maggiore flessibilità. La comprensione reciproca è l’arma vincente di aziende in cui i dipendenti riescono ad essere produttivi in un ambiente il più sano possibile.

«Continuo a vedere aziende fare grandi dichiarazioni come: ‘Abbiamo concesso una settimana libera ai nostri dipendenti esauriti [burned-out employees]’. C’è molta ironia in questa frase. Li hai resi tu esauriti [you burn them out] quindi ora stai dando loro una settimana libera ma hai alleviato il carico di lavoro in modo che quando torneranno non dovranno affrontare il debito che hanno lasciato?»

Jennifer Moss, autrice del saggio The burnout pandemic.

Il più grande vantaggio di un’azienda sta nel riuscire a parlare di salute mentale anche e soprattutto nel contesto lavorativo. La consapevolezza sul tema della salute mentale da parte delle aziende è in crescita. Tuttavia, è necessario creare più spazi di ascolto, per trovare soluzioni che rendano il posto di lavoro un luogo in cui non solo produrre, ma anche rispettare la salute mentale di ogni individuo. È questa la fondamentale priorità, per il benessere dei dipendenti, che dovrebbe essere portata avanti ad ogni costo. ♦︎


Illustrazione di Viviana Furlani

Questo articolo nasce da una collaborazione tra NoSignal Magazine e Team Different