Tieniti la tua elegia: gli Appalachi di J.D. Vance (e quelli di tutti gli altri)
È passato poco più di un mese dall’ultima puntata di Oltreoceano. Giorni dove, più o meno ogni mattina controllando le notizie americane, pensavo: «cosa può succedere ancora?». Allora l’autore celeste di questa stagione delle elezioni presidenziali deve aver origliato, perché da quel momento si sono susseguiti: il disastroso dibattito elettorale di Joe Biden, le settimane di pressioni per il suo ritiro dalla campagna, il tentato assassinio di Donald Trump, la consacrazione dello stesso alla convention del Partito Repubblicano di Milwaukee, il ritiro effettivo di Biden. Nel caos del precipitarsi delle notizie nuove, sono entrate anche nuove facce e nuovi nomi nel complesso di chi sta facendo la storia americana.
Ogni tanto capita infatti che un personaggio pubblico semi-conosciuto, ad un certo punto, diventi super famoso. E si capisce che la sua notorietà è cresciuta esponenzialmente se questo qualcuno ha scritto un libro. Anche se non freschissimo di stampa, Amazon ti dirà che ne ha a disposizione «solo 1 copia». È quello che sta succedendo da domenica scorsa con l’autobiografia di Kamala Harris pubblicata nel 2019. Ed è quello che sta succedendo con il memoir che ha scritto il candidato alla vicepresidenza per il partito repubblicano J.D. Vance.
Pubblicato in Italia con il titolo di Elegia Americana, è un libro che racconta la vicenda familiare della famiglia di Vance, originaria del Kentucky ma trasferitasi poi in una cittadina dell’Ohio, Middletown. Vance racconta la sua storia di ragazzo uscito dal contesto sociale di provenienza, ovvero quello che vive nelle zone rurali e montuose degli Appalachi, una lunga catena montuosa che si estende da Nord a Sud per 13 stati della nazione. Esiste una parola precisa per identificare queste persone: gli Hillbillies. Oltre ad indicare una collocazione geografica, il termine evoca delle caratteristiche di quelle popolazioni: bianchi poveri e poco istruiti, gente di campagna poco sofisticata o montanari rozzi.
Vance parla della sua storia personale: un’infanzia felice e difficile al tempo stesso, la presenza essenziale della nonna Bonnie, una donna che incarna la cultura hillbilly in tutto e per tutto, e quella discontinua della madre, incastrata in una relazione violenta dopo l’altra e propensa a ricadere nella tossicodipendenza. L’esperienza dei Marines, quella dell’università in Ohio e poi quella dell’università di legge di Yale, che lo allontana dalla sua terra d’origine e gli mostra la realtà diversa dell’élite di New Haven.
Ma il racconto di Vance è più ambizioso del semplice memoir: ha qualcosa di un lucido progetto di divulgazione sociologica. Inserisce la narrazione della sua storia personale nella spiegazione della situazione dell’America rurale bianca. Cita tanti dati, teorie ed esperti che hanno studiato questo pezzo degli Stati Uniti: le sue città, un tempo sede dell’industrializzazione americana, ora svuotate dalla depressione lavorativa, dalla mancanza di attrattive culturali e dalla volontà di reinventare le città. Del rapporto contradditorio delle persone che abitano questi territori con il lavoro: la pigrizia e il senso del dovere, il fatto che la gente parli continuamente dell’importanza di essere operosi ma di come poi si lascino cadere nella la rete di salvataggio dei sussidi statali. Affronta da vicino la propensione alla dipendenza e le conseguenze della crisi degli oppioidi in queste aree, della violenza domestica e del rapporto con il resto della comunità stessa e con la religione.
E poi parla del loro rapporto degli hillbillies con la politica: “I politologi hanno usato milioni di parole nel tentativo di spiegare come mai gli Appalachi e il Sud siano passati dal Partito democratico al Partito repubblicano in meno di una generazione. Alcuni danno la colpa ai rapporti razziali e all’appoggio fornito dai democratici al movimento per i diritti civili. Altri citano la fede e la presa del conservatorismo sociale sugli evangelici di quella regione. […] Negli anni Settanta, il proletariato bianco cominciò a guardare con fiducia a Richard Nixon perché aveva la sensazione che il governo «pagasse i disoccupati per non fare nulla! Questa gente si fa beffe della nostra società e noi siamo dei grandissimi lavoratori, che vengono presi per i fondelli perché vanno a lavorare tutti i giorni».
Nel 2016, l’anno della sua uscita, Hillbilly Elegy ha avuto un successo incredibile. Proprio il debutto editoriale che ogni autore sogna, ma non avrebbe il coraggio di condividere ad alta voce: qualcuno non aveva esitato a domandarsi se si trovasse davanti a un nuovo classico della letteratura americana. I più moderati ne avevano riconosciuto la potenza sconvolgente, e comunque è nella lista dei bestseller di quell’anno.
Il successo del libro di Vance è dovuto anche al suo straordinario tempismo: il 2016 è stato l’anno dell’arrivo inaspettato di Trump nel panorama politico statunitense. Forse oggi, 8 anni dopo, ci siamo abituati alla sua caotica presenza, ma allora è stato un momento per un certo verso paralizzante per gli americani e per il mondo. Per molti, il libro di J.D. Vance provava a spiegare l’origine del suo neonato consenso fra la classe operaia bianca. Provava a rispondere alla fatidica domanda: come ha fatto il cuore dell’America a diventare la ‘Trumpalachia’?
Hilbilly Elegy ha acquisito in quel periodo confuso una funzione diversa da quella della semplice saga familiare che intrattiene, e si è guadagnato una copertura mediatica imponente. La ciliegina sulla torta arriva con l’adattamento cinematografico di Ron Howard sponsorizzato da Netflix nel 2020, con Amy Adams e Glenn Close.
Ma non tutti sono d’accordo con la versione degli Appalachi che J.D. Vance ha raccontato al mondo.
Gli abitanti degli Appalachi lo sanno bene: abitano un’America isolata, lontana geograficamente e socialmente da tutto il resto. Nei decenni hanno cristallizzato e reso proprio quello stereotipo degli hillbillies, dei «redneck», «cracker» o «white trash» – letteralmente ‘spazzatura bianca’ – e, proprio come dice Vance, adesso lo difendono coi denti, e ne fanno una questione d’onore.
Quindi non ci dobbiamo stupire se, nel 2019, il professore della Western Kentucky University Tony Harkins e la scrittrice Meredith McCarroll, hanno curato la pubblicazione un libro contro quello di Vance: Appalachian Reckoning.
Il sottotitolo spiega l’intento da sé: A Region Responds to Hillbilly Elegy – una regione risponde a Elegia Americana. Si tratta di una replica a tratti rigorosa, critica, arrabbiata ma piena di speranza, alla lunga ombra che il bestseller di Vance ha gettato sulla regione degli Appalachi e sul suo immaginario.
Nella premessa, gli autori ammettono che il libro nasce dalla frustrazione: non esiste una singola verità sugli Appalachi, partendo da questi presupposti: non esiste una singola narrazione, ed è impossibile racchiudere in un’unica saga familiare la totalità della storia degli hilbillies, perché non tutte le famiglie dei 13 stati che attraversano gli Appalachi sono una fotocopia dei Vance.
Secondo Appalachian Reckoning, con il libro di Vance ci si trova di fronte alla ciclica riscoperta degli Appalachi: una terra raccontata prima da altri, da Harry M. Caudill in Night Comes to the Cumberlands o dai più recenti racconti di Breece D’J Pancake. Una riscoperta aiutata e danneggiata dalla imponente copertura mediatica post elezioni, di quei media che cercavano in Vance la risposta al dilemma della vittoria di Trump. La spinta ha reso di nuovo visibili gli Appalachi, ma la necessità di rendere la notizia appetibile alla brevità, a cui siamo sempre alla ricerca, ne ha intaccato la complessità. Gli Appalachi di Vance raccontati dai media sono di nuovo gli Appalachi dello stereotipo.
McCarroll racconta che non basta in rapido elenco delle caratteristiche degli Appalachi, e capisce la pericolosità di quando un ‘outsider’ come spesso è definito Vance dagli abitanti di quei territori, racconta gli Appalachi.
Looking ar Appalachia è un progetto collettivo di una manciata di fotografi appalachiani che trae spunto dall’eterogeneità degli Appalachi e dalle sue storie: da anni un crowdsourcing di fotografie raccontano la complessità della regione dal punto di vista di chiunque voglia parteciparvi con un’immagine. ♦︎