Nel 2018 la sitcom Brooklyn Nine-Nine, ambientata in un distretto di polizia immaginario di New York, è riuscita nell’arco di un solo giorno a sconfiggere il destino che sembra attendere gran parte delle serie tv di oggi. Dopo essere stata cancellata, e cioè interrotta, dall’emittente Fox, è stata salvata dalla NBC grazie alle proteste globali degli spettatori, tra cui si contavano personalità come l’attore, regista e compositore Lin-Manuel Miranda e il regista Guillermo del Toro. Nell’era dello streaming i contenuti audiovisivi viaggiano di piattaforma in piattaforma senza una dimora stabile, mentre sulle novità seriali incombe la possibilità della cancellazione. Si è raggiunto un grado di precarietà che minaccia di travolgere il rapporto con il pubblico. Senza considerare le tariffe in aumento (Netflix e Disney+ hanno modificato i prezzi nel 2024) e l’introduzione delle interruzioni pubblicitarie (Netflix e Disney+ prevedono la pubblicità per gli account con le tariffe più basse, mentre su Amazon Prime Video la si può rimuovere solo pagando una cifra ulteriore di 1,99 euro al mese), ci troviamo di fronte a un patrimonio audiovisivo smaterializzato, disperso e in bilico tra valutazioni economiche e statistiche di visione, sottratto a qualsiasi forma di controllo da parte del pubblico.
Con la progressiva scomparsa dei supporti fisici viene meno ogni garanzia di permanenza. Non potendo vantare un’effettiva proprietà sui contenuti, ma solo un accesso temporaneo, non possiamo pretendere né che le nostre serie preferite abbiano un seguito, né di poterle guardare a ripetizione. La loro disponibilità, e la loro prosecuzione, sono infatti subordinate a condizioni imposte dai servizi di streaming. Navighiamo nel mare ignoto delle scritte in piccolo e delle scelte strategiche basate molto sui dati, molto poco sulle persone. Il che pone le basi per la scomparsa dei contenuti, che possono cadere vittime di una licenza non rinnovata. Se non ci sono nuovi abbonati e spettatori in numeri soddisfacenti, oltre a un ritorno economico sufficiente, il rischio è sempre lo stesso: una precarietà dei cataloghi digitali, trame irrisolte, storie inghiottite dalle ombre dello streaming.
Un problema particolarmente evidente per i prodotti seriali. Non serve scavare a lungo nel palinsesto offerto dai servizi di streaming per trovare narrazioni stroncate dopo una manciata di episodi. Di recente è toccato a My Lady Jane, una versione alternativa – tra fantasy, romance e commedia – della storia di Lady Jane Gray, regina d’Inghilterra per soli nove giorni. Ispirata a un romanzo di Cynthia Hand, Brodi Ashton e Jodi Meadows, My Lady Jane è stata cancellata da Amazon Prime Video dopo una sola stagione nonostante l’apprezzamento del pubblico. Non bastano infatti né le valutazioni positive, né i soli numeri, a volte, per salvare una serie. Tenebre e Ossa, adattamento della saga fantasy del Grishaverse di Leigh Bardugo, ambientata in un mondo che ricorda la Russia zarista, è stata cancellata da Netflix dopo due stagioni. Eppure, con una cifra di 193 milioni di spettatori nella prima metà del 2023, la seconda stagione era arrivata al 26esimo posto nella classifica dei contenuti più visti su Netflix, su un totale di 18mila prodotti. Altra vittima per il fantasy è la serie Lockwood & Co. (per 3 settimane nella top 10 di Netflix, al quarto posto nella classifica delle serie britanniche sulla piattaforma, 80esima nella classifica globale, con 113 milioni di spettatori nei primi sei mesi del 2023), ispirata all’omonima saga scritta da Jonathan Stroud e incentrata su un trio di adolescenti che vanno a caccia di fantasmi, cancellata dopo un’unica stagione. Non basta neppure, per assicurarsi la sopravvivenza, essere parte di un franchise di successo come quello di Star Wars, come dimostrato da The Acolyte, cestinata da Disney+ dopo otto episodi. Di questo passo, le serie tv avranno a stento il tempo di nascere prima di essere interrotte, con storie rigorosamente incomplete.
A stabilire cosa sopravvive nel panorama dello streaming sono soprattutto i numeri. Le valutazioni della performance di un prodotto audiovisivo si basano su dati come il numero di spettatori e la percentuale di pubblico che conclude la visione. Costi elevati di produzione e giudizi negativi sulla qualità possono troncare l’esistenza digitale di un contenuto. Per le novità si decide utilizzando informazioni raccolte nel breve periodo successivo all’uscita, senza prendere in considerazione la possibilità che il successo possa costruirsi progressivamente. Manca il tempo di ponderare le decisioni e di valutare i danni sul rapporto con il pubblico pagante. Un pubblico che spesso non esita a intervenire direttamente, cercando di cambiare il destino delle proprie storie preferite. I fan di Tenebre e Ossa continuano, a più di un anno dalla cancellazione, a darsi da fare per salvare la serie con diverse iniziative, da una petizione con più di 200mila firme, fino a un vero e proprio libro che è stato indirizzato a Netflix, intitolato Dear Netflix, Love the Grishaverse. Anche per My Lady Jane e Lockwood & Co. sono state proposte delle petizioni. I fan di Lockwood & Co. hanno persino organizzato un raduno a Londra, evento a cui hanno partecipato l’autore Jonathan Stroud, membri del cast e il produttore Joe Cornish.
Quel che manca è la trasparenza. Se prevedere il coinvolgimento degli spettatori nella selezione dei contenuti è forse un’utopia, comunicare i motivi delle rimozioni e delle cancellazioni sarebbe essenziale per non deludere le aspettative del pubblico. Un passo avanti è stato compiuto da Netflix, che dal 2023 pubblica dei resoconti semestrali intitolati What We Watched, che mostrano le classifiche dei prodotti in base ai dati di visione, garantendo accesso alle informazioni utilizzate per decidere tagli e rinnovi. Sul fronte della smaterializzazione, introdurre forme di acquisto effettivo, con download permanente, permetterebbe di conservare i contenuti, evitando il rischio della loro prematura scomparsa e i costi derivanti dall’esigenza di collezionare abbonamenti a tutti i diversi servizi di streaming esistenti. Senza dimenticare che i prodotti audiovisivi hanno un valore culturale, e che puntare sulla fiducia degli abbonati è l’unico modo per garantire la sopravvivenza delle piattaforme di streaming ed evitare un’ultima, fatale cancellazione: quella degli abbonamenti. ♦︎