Il linguaggio non verbale negli animali e nell’uomo: quanto parla il silenzio?
Un recente studio della Portsmouth University e della Aberystwyth University pubblicato il 28 maggio scorso sulla rivista PeerJ ha individuato 805 espressioni facciali diverse utilizzate dai cavalli, tra movimenti delle orecchie, delle narici, di occhi e palpebre e di bocca e labbra. Grazie all’utilizzo di un particolare strumento di codifica delle espressioni degli equini, EquiFACS, e all’analisi di 72 ore di filmati, è stato possibile ricavare per la prima volta un etogramma dei movimenti facciali con cui questi animali comunicano tra di loro e con gli esseri umani.
I ricercatori hanno notato come alcune di queste mimiche facciali, specialmente quella legata alla giocosità, che viene espressa abbassando il labbro inferiore, siano simili a quelle adottate dai primati per esprimere gli stessi stati d’animo e coinvolgano gli stessi muscoli. Una somiglianza che fa sorgere l’ipotesi della presenza di questo tipo di linguaggio non verbale già negli esseri primordiali, prima che i viventi si evolvessero e differenziassero nelle diverse specie. I risultati della ricerca sono sicuramente utili per veterinari e, in generale, persone che hanno a che fare quotidianamente con gli equini, ma il rilevare questa somiglianza con il linguaggio non verbale dei primati può essere utile a tutti per farci comprendere come siamo strettamente connessi al resto del mondo naturale che ci circonda e come si possa comunicare con esso.
D’altronde, uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Durham e pubblicato nel 2019, aveva già fatto da apripista in questo ambito tematico, ma a essere analizzati non erano stati i cavalli, bensì i lupi.
Le ricerche hanno rivelato che questi animali comunicano all’interno del loro branco utilizzando principalmente le espressioni facciali piuttosto che i segnali sonori e olfattivi, come si potrebbe invece pensare. Analizzando il comportamento di quattro diversi branchi è emerso che molte espressioni sono comuni tra i diversi gruppi, ma alcune possono anche assumere tratti distintivi tra un branco e l’altro. Inoltre, si è scoperto che più si sale verso l’apice della gerarchia sociale, meno è vasto il repertorio di espressioni che si utilizzano: per il leader del branco non servono molti gesti per comunicare la sua posizione dominante.
Sono almeno nove le diverse espressioni utilizzate dai lupi e individuate grazie a questi studi, nove diversi movimenti delle orecchie, del muso e della bocca: rabbia, ansia, curiosità, paura, amichevolezza, allegria, interesse, gioia, sorpresa. Così come per il genere canis e per gli equini, alcune di queste sono riscontrabili anche nei primati, specie quella che consiste nell’aprire la bocca tirando indietro gli angoli come per sorridere, ma senza mostrare i denti. Un’ulteriore conferma che avvalorerebbe la teoria della presenza del linguaggio non verbale già negli esseri primordiali.
Questa scoperta potrebbe, inoltre, costituire una prova a supporto della tesi secondo cui l’addomesticamento dei cani sia iniziato proprio a partire dall’interazione sempre più stretta tra uomini e lupi, resa possibile secondo gli studiosi proprio grazie alla condivisione di alcune espressioni facciali e a una certa comprensione reciproca del linguaggio non verbale.

Il team dell’Università di Durham sostiene, tuttavia, che sia proprio a causa dell’uomo e della sua selezione di razze canine dall’aspetto a lui più congeniale, se i cani hanno con il tempo perso i tratti somatici e la capacità di utilizzare alcuni muscoli del viso, tanto da ridurre drasticamente il loro repertorio di mimiche facciali rispetto ai cugini lupi. In effetti i cani tendono a comunicare maggiormente con le persone tramite versi, piuttosto che tramite espressioni. Anche i gatti, gli altri grandi compagni domestici dell’uomo, hanno sviluppato il loro linguaggio “verbale” più per comunicare con gli esseri umani che con altri esemplari della loro specie, con i quali utilizzano maggiormente il corpo per dialogare.
D’altra parte, il minore utilizzo in natura di espressioni sonore e olfattive ha anche uno scopo molto pratico: per una questione di mera sopravvivenza, essere silenziosi, comunicare con il gruppo tramite impercettibili cenni piuttosto che emettendo versi, consente di avere maggiore probabilità di passare inosservati, sia che ci si trovi alla base della catena alimentare, sia che si occupi il suo vertice.
Rimanendo in tema di lupi, già prima dello studio dell’Università di Durham, un altro britannico, l’etologo Shaun Ellis, che studia questi animali dal 1990, aveva capito l’importanza del linguaggio non verbale. Vivendo per anni a contatto con un branco di lupi del parco naturale di Combe Martin, il ricercatore ha appreso la mimica facciale utilizzata dai predatori e ha imparato ad esprimersi a sua volta con smorfie e ghigni, tanto da riuscire a inserirsi nel branco, a farsi “adottare” dai lupi e a banchettare insieme a loro. Una sorta di capovolgimento delle parti, con l’uomo che da addomesticatore diventa addomesticato.
In effetti, anche per la comunicazione degli esseri umani il linguaggio non verbale riveste un ruolo fondamentale. Guardarsi in faccia mentre si parla è molto importante, anche se non ce ne rendiamo conto e non per tutti è così facile, perché attraverso impercettibili cambiamenti nei tratti del viso e semplici movimenti degli occhi si esprime un mondo di parole ulteriori rispetto a quelle che escono dalla nostra bocca, ed è stato notato come negli individui che a seguito di incidenti o malattie perdono l’uso dei muscoli del volto, esprimersi risulti più difficile.
Come afferma la nota formula dello psicologo statunitense Albert Mehrabian, resa ancora più famosa dal film “Hitch, lui sì che le capisce le donne”, interpretato da Will Smith, la comunicazione non verbale rappresenta il 93% di tutti gli strumenti di interazione a disposizione delle persone, mentre quella verbale, le parole, costituisce solo il 7%. In particolare, il 38% della comunicazione non verbale è formato da tutto ciò che riguarda il tono della voce, il ritmo, il volume e il timbro, ma ben il 55% è composto da movimenti e gestualità del corpo, espressioni facciali, variazioni, anche minime, dello sguardo. Alcuni studi hanno persino portato ad affermare che il solo orientare gli occhi in una determinata direzione mentre si parla con qualcuno possa esprimere i sentimenti che si stanno provando in quel momento.
Siamo abituati ad associare la comunicazione alle parole, siano esse dette a voce o scritte, ancora di più oggi dove, utilizzando i sociali come principali mezzi di interazione, si frappone sempre uno spazio, una piattaforma tra i dialoganti, la quale rende impossibile percepire la gestualità di chi ci sta di fronte. Ma dovremmo imparare che spesso è proprio quel silenzio, quel non detto, che percepiamo come mancanza di relazione, di chiusura da parte dell’altro, a comunicarci molte più cose di quanto potrebbero trasmettere tante vuote parole. ♦︎