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Dopo ventun anni i talebani tornato ad occupare la capitale Afghana e ad imporre il loro Emirato

15 agosto 2021. Una parte del mondo si ritrova allegramente a festeggiare il Ferragosto. Un’altra parte, invece, è in trepidazione a sua volta, ma tutt’altro che festosa. Il fremito è dovuto alla paura e alla disperazione. L’affanno con cui ci si prepara non è dovuto ad una partenza per una vacanza, ma ad una fuga improvvisa e non organizzata. Il tempo stringe e le possibilità di lasciare il Paese sono poche.
15 agosto 2021….Afghanistan….la frenesia di migliaia di persone che si riversano nell’aeroporto per imbarcarsi su un volo che possa portarli in salvo è un segnale più che chiaro: i talebani hanno sfondato le ultime difese e hanno riconquistato Kabul.


Non si può neppure parlare di vera difesa. La loro avanzata è stata più che repentina, un perfetto esempio di guerra lampo, ben pianificata sin da subito. Pochissimi gli ostacoli che si sono frapposti al loro cammino da quando gli occupatori occidentali hanno deciso di richiamare le loro truppe e lasciare l’Afghanistan al suo popolo. Una mossa che i talebani non hanno ovviamente perso tempo a sfruttare.
Passo dopo passo, villaggio dopo villaggio, l’intero Paese si è arreso con estrema facilità a coloro che altrettanto rapidamente erano stati cacciati nel 2001 con l’intervento di americani ed europei. Anzi la popolazione, probabilmente colta dalla disillusione e dallo sconforto per il fallimento dell’Occidente di portare stabilità e democrazia, è parsa gettarsi fra le braccia dei talebani con estrema docilità.
Ed ora anche la capitale è tornata nelle mani degli studenti. “Studenti”, questo il significato del termine talebano.
In effetti fu proprio un movimento di studenti integralisti provenienti da scuole coraniche a dare vita al gruppo dei talebani, capeggiato inizialmente dal Mullah Omar, nel 1994. I talebani conquistarono il potere nel 1996, ultimo anno di vita della repubblica afgana, e instaurarono il loro emirato.
Il gruppo nacque con l’intenzione di difendere i valori del Paese e proteggerlo dagli invasori esterni dopo la cacciata dei sovietici. Ma, una volta saliti al potere, i talebani imposero la loro teocrazia e il loro regime di terrore. Furono aboliti televisione, radio, giornali e ogni mezzo di comunicazione, ritenuti corrotti. Le leggi della Shari’a furono applicate alla lettera e rigorosamente. Gli uomini furono obbligati a portare la barba, mentre le donne furono relegate ai margini della società. Fu imposto loro di portare il burqa in pubblico e fu vietato loro di avere un lavoro, un’istruzione, e di vedere altri uomini al di fuori dei loro mariti. I matrimoni combinati divennero la prassi, mentre ogni altra forma di religione fu vietata e i dissidenti furono repressi nei modi più sanguinari. Il corpo dell’ex presidente della repubblica, Mohammad Najibullah,  fu esposto davanti al palazzo del governo, dopo che lo stesso fu evirato e scuoiato.
Anche la coltivazione dell’oppio, principale fonte di ricchezza per i contadini afgani, fu inizialmente vietata per motivi religiosi. Per poi essere in seguito reintrodotta, chiamando l’oppio con il suo nome scientifico e facendo pagare una tassa per coltivarlo, data la sua fondamentale importanza a livello economico.
Questi i ricordi riaffiorati nella mente degli afgani, queste le scene che hanno rivisto gli occhi delle numerose persone che si sono precipitate negli aeroporti o lungo i confini terrestri e che premono per abbandonare il Paese. Questo il motivo di una fuga sfrenata che sta già provocando feriti e morti.
A nulla sono valse le promesse dei talebani, i quali si sono detti pronti ad accogliere tutti, anche coloro che avevano appoggiato gli invasori occidentali, e che hanno assicurato che non ci saranno repressioni e che i diritti, specialmente quelli delle donne non verranno calpestati. Difficile credere a queste affermazioni dato che dai territori precedentemente conquistati giungono notizie di processi e uccisioni dei dissidenti e di donne e bambine stuprate e poi costrette a sposare i soldati.
Difficile pensare di poter collaborare con chi, vent’anni prima, aveva dato vita a un regno di terrore.
Ma i talebani di oggi sono gli stessi? Un interrogativo che oggi sovente si sente porre. Sicuramente qualcosa è cambiato tra le loro fila. A guidarli non è più il Mullah Omar, morto nel 2013. Ora è suo figlio, Yaqoob, a condurre l’esercito, un vero e proprio guerriero che si è fatto le ossa combattendo in Pakistan. Mentre il capo ufficiale al momento parrebbe essere la guida spirituale, nonché ex braccio destro del Mullah Omar, Haibatullah Akhunzada.
La loro mentalità pare essere diversa. Dagli accordi stabiliti con i vari capi tribù dei villaggi conquistati, sembrerebbe che i talebani abbiano capito l’importanza di una maggiore e più ramificata organizzazione governativa. Anche il tentativo di una mediazione con i rappresentanti dell’ormai decaduto governo repubblicano rimasti (il presidente Ghani, che è peraltro già fuggito) sembrerebbe sintomo di una maggiore disponibilità a collaborare.
In secondo luogo, diversi sono i soldati che compongono l’esercito. Non più studenti, ma in maggioranza provenienti dagli strati più poveri della popolazione, nonché militari dell’ormai ex repubblica che hanno deciso di disertare. Sono i più delusi dalle promesse americane, coloro che si sono sentiti maggiormente traditi dagli occupanti europei.
Se i talebani vorranno nuovamente imporre la loro teocrazia o se saranno maggiormente collaborativi solo il futuro saprà dirlo.
Al momento l’unica certezza è che la missione occidentale é stata un vero fallimento, così come rovinoso è stato questo ritiro, seppur giusto. Le radici di questa debacle probabilmente non sono neppure da ricercare nelle scelte di Obama di rimandare il ritiro delle truppe o nell’avvio della smilitarizzazione e nei successivi accordi siglati da Trump a Doha con gli stessi talebani.
Il destino di questo ventennio era probabilmente già segnato dall’inizio, come la storia ben insegna.
Anacronistico sarebbe paragonare questa guerra al Vietnam. Ma, certo, anche l’Afghanistan va ad infoltire il lungo elenco di tentativi, dal tragico esito, da parte del mondo occidentale di esportare il proprio modello di democrazia in altri Paesi. Un modello che il miope etnocentrismo occidentale mostra come universale, ma che non si può applicare indiscriminatamente senza tenere conto delle peculiarità dei singoli popoli, specie quelli caratterizzati dalle maggiori divisioni etniche e tribali al loro interno.


La storia insegna inoltre che la gente afgana è assai fiera e determinata e mai nessuno è riuscita a conquistarla.
La speranza ora è che questa fierezza possa ispirare positivamente i nuovi governatori affinché la situazione di questo popolo possa finalmente migliorare. E si spera anche che i nuovi interlocutori con i quali i talebani si stanno accordando, Cina e Iran in primis, guardino al passato e non commettano gli stessi errori dei loro predecessori.