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Federico II di Svevia by Giorgia LaGanga

Una figura complessa

Federico II di Svevia fu un uomo diverso dai suoi contemporanei. Egli è conosciuto ai più come “Stupor Mundi“, il bambino orfano delle grandi dinastie di Altavilla e  Hohenstaufen, educato dal Papa come fedelissimo e rivelatosi pensatore eccelso, uomo di dialogo fecondo e amante delle diversità. Ma non tutti i pareri sull’Imperatore furono così entusiati.

“Eretico”, “emiro”, “sultano battezzato”. Questi epiteti, gettati come un’offesa in faccia allo Svevo dai suoi avversari della Curia pontificia e dai propagandisti guelfi, hanno attraversato i secoli scontrandosi con dicerie arabe che testimoniano come, a Palermo, egli fosse stato allevato dai capi della comunità musulmana; e fonti occidentali assicurano che, oltre al latino, parlava greco e arabo. Insomma, una figura capace di unire Nord e Sud Europa mantenendo un dialogo ricco e costante coni il mondo arabo.

Imperatore di Germania

Il Sacro Romano Impero e il Regno di Sicilia
ereditati da Federico II

Federico II di Svevia fu re di Germania: ma lasciò che in tale regno si sviluppassero quei poteri sia principeschi feudali, sia cittadino-“statali”, che avrebbero dato luogo poi alla tradizionale e profonda struttura “federale” di quel paese. Essa fu una struttura che il “secondo Reich” degli imperatori di casa Hohenzollern (1870-1918) rispettarono profondamente e che nemmeno il centralismo hitleriano riuscì del tutto a cancellare, tanto che è riemersa immediatamente dopo il 1945.

Re di Italia

Come re d’Italia, Federico cercò di piegare alla sua volontà i comuni e i nobili della penisola, ma non vi riuscì: tuttavia va tenuto presente che l’ “Italia” di cui egli cingeva la corona era in realtà solo al parte centrosettentrionale della penisola.

Re di Sicilia

Come re di Sicilia, titolo che gli proveniva non dall’elezione dei principi germanici, ma dall’eredità dei re normanni che gli derivava da sua madre Costanza d’Altavilla (che aveva sposato Enrico VI di Svevia, figlio di Federico I “Barbarossa”), egli fu monarca assoluto. Un “autocrate”, secondo la tradizione dei basileis di Bisanzio .

Vero è che tale tradizione, bizantina e indirettamente persiana, era a loro volta collegata a quella romano-imperiale antica, cui però l’impero romano-germanico medievale si raccordava soltanto in termini molto remoti.

Tuttavia, anche in ciò, bisogna ricordare che gli imperatori svevi, Federico I e Federico II, hanno ricondotto in Occidente la tradizione giuridica romana, affidato al corpus iuris dell’imperatore romano-orientale Giustiniano (VI secolo).

Ciò per sottolineare come ridurre la figura di Federico II al semplice aggettivo “filo-musulmano” sia riduttivo. Egli era un amante della cultura e della scienza araba quanto profondamente lo era del cattolicesimo (fermo restando le antipatie per la curia romana).

La “crociata diplomatica”

Ma la diversità di Federico II ebbe la sua massima espressione nel corso della VI crociata:

“Tra il febbraio e il marzo del 1229 l’imperatore riuscì ad accordarsi col sultano ayyubide del Cairo al-Malik al-Kamil affinché Gerusalemme gli fosse affidata fino allovscadere d’una tregua decennale, insieme con Betlemme, Nazareth e qualche area minore con accesso al mare. In tale occasione, nonostante la scomunica che l’aveva colpito, egli assunse nella basilica della Resurrezione la corona di re di Gerusalemme mediante il rito dell’autoincoronazione”.

La crociata di Federico II è anche molto diversa da quelle successive. San Luigi volle convertire i musulmani, seguendo in un certo senso il tentativo fatto in Terra Santa nel 1220-21 da Francesco d’Assisi. Federico II invece non volle mai convertire nessuno alla sua religione, cioè al cristianesimo. Ciò dipende probabilmente dal fatto che egli era cresciuto nel Mezzogiorno d’Italia, a Palermo, in un ambiente multiculturale con una solida tradizione di convivenza pacifica tra musulmani e ebrei, tra cristiani greci e latini.Federico II, durante il suo soggiorno in Terra Santa, dimostrò un profondo rispetto verso l’Islam. Un cronista araba (Sibt ibn-al Giawzi) narra che quando l’imperatore si accorse che un funzionario del sultano, per compiacergli, aveva fatto sospendere i richiami dei muézzin alla preghiera, lo rimproverò e gli chiese perché i muézzin non erano saliti, come al solito, sui minareti per lanciare l’appello alla preghiera. 

Federico II fu uomo di dialogo profondo, e forse oggi Zar e presidenti dovrebbero imparare da lui.