“Viola” di Fedez feat. Salmo è il singolo che sa tanto di volemose bene tra due rapper paralleli che mai avrebbero dovuto intersecarsi.
Mi domando sinceramente quale tipologia di neuroni abbia portato tanti a pensare che “Viola” potesse riesumare quella wave californiana a cavallo tra i due secoli che tanto ascoltavamo al liceo, con in mano due chitarre marce e un ampli senza testata. E qui si dovrebbe aprire un lungo discorso su cosa effettivamente sia stato il pop-punk (quello vero), dai Misfits ai Bad Religion, fino ad arrivare ai tanto amati e bistrattati Blink-182, che in confronto al binomio italiano sembrano i Dream Theatre.
Chiedete scusa a loro, come a un intero genere musicale che ha rappresentato fior di generazioni in fuga da etichette convenzionali e categorizzate.
Forse non c’era neanche da stupirsi più di tanto, dal momento che tra gli autori del brano spiccano Paolo Antonacci e Davide Simonetta, gli stessi di “Mille”, basterebbe già questo a confermare musicalmente l’Italia come il paese delle aspettative disattese.
Le stesse aspettative a cui si era concesso un sottostrato di credibilità dovuto alla presenza di un Salmo che con “Hellvisback” (2016) aveva dimostrato di saperci fare con il rock-pop importato dagli States, franando poi rovinosamente nel regno incantato di Fedezland.
Ok, l’abbiamo capito che il pop-punk sta vivendo la sua rinascita personale. Machine Gun Kelly (per i meno esperti, è il tipo con i capelli rosa che vedete ogni tanto sul red carpet con la fidanzata Megan Fox) è forse il maggiore rappresentante di un revival più che gradito da chi come me è cresciuto musicalmente nelle cover band tra il 2009 e il 2013, ma bisogna saperlo fare. E qui sta la differenza, perché forse non basta la passione per il punk revival e tutte quelle band come i Sum 41 o i New Found Glory tanto decantata da Fedez, se poi i risultati sono questi.
Non bastano nemmeno le schitarrate nel ritornello, (anche quelle non troppo originali) o le sferzate vocali di Salmo nelle strofe per nascondere un prodotto chiaramente confezionato e pronto da esporre nella bottega delle mediocrità pop italiane.
Da sempre, e per sempre, nel momento in cui la musica italiana prova ad approcciarsi al rock, inglese o americano che sia, il fallimento è dietro l’angolo. Da questo punto di vista, il fatto che i Måneskin siano stati gli unici a ritagliarsi uno spazio importante oltreoceano, la dice lunga su cosa vorremmo e su cosa possiamo effettivamente offrire.
Insomma, per quanto si possa essere contenti della pace fatta tra i due, dopo tanti anni trascorsi fra insulti e frecciatine sui social, non si può fare a meno di evidenziare una vetrina musicale tristemente povera, addobbata per l’occasione da rimasugli di collezioni passate e pezzi taroccati con l’arroganza dell’originale.
C’erano una volta un milanese e un sardo, ma tutti aspettavano gli americani.