La pellicola è stata accolta entusiasticamente dal pubblico del Torino Underground Cinefest, seppur non sono mancate mani davanti agli occhi e accenni di iperventilazione
La proiezione sold out del must-see più controverso degli anni 2000 apre col botto la decima edizione del Torino Underground Cinefest. Il film è stato accolto entusiasticamente dal pubblico, seppur non sono mancate mani davanti agli occhi e accenni di iperventilazione nelle scene più truci. Un pornoattore ‘in pensione’ torna davanti alla cinepresa stuzzicato dall’offerta di una lauta ricompensa per girare un film a scatola chiusa. Scoprirà di essere stato coinvolto in uno spietato snuff-movie che trascinerà tutta la sua famiglia in un inferno di pedofilia e necrofilia. A 13 anni dall’uscita A Serbian Film impatta ancora per la sua rabbiosa aggressività, ma stupisce per la disinvoltura nell’aderire a differenti registri di genere. Un cult capace di instaurare un discorso sia politico che metacinematografico.
I film sono guerra
Al centro di A Serbian Film c’è un’immagine davvero asfissiante della macchina-cinema che rimanda a qualcosa di molto più ampio. In una scena emblematica, il protagonista percorre la scenografia del ‘film nel film’, assecondando le indicazioni che il regista gli comunica dagli auricolari. Il pornoattore Milos non conosce la sceneggiatura e nel suo addentrarsi dentro il set è sorvegliato da cameramen-poliziotti armati e protetti da giubbotti antiproiettile. Il burattino-interprete è costretto ad agire in modo pre pattuito: sembra di ritrovarsi in una situazione di orwelliano disagio. Solo il regista, come un onnisciente Grande Fratello, sa a cosa l’uomo stia andando incontro. Si respirano vibes distopiche e fantascientifiche, dove il dispositivo e le modalità di lavoro cinematografiche diventano un Moloch tritacarne.
Bresson definiva gli attori «modelli», e qui si segue la storia di un performer diventare una marionetta radiocomandata da posizionare in qualsiasi maniera si voglia. Ma più che a un fantoccio si è di fronte a una vittima destinata all’esecuzione. Il set è un vero e proprio campo di battaglia: di per sé la troupe cinematografica riprende l’impianto organizzativo tipico della gerarchia militare. In più tra i membri della crew viene assiduamente praticato l’esercizio dello stupro, forma di sopraffazione psicologica tipica della guerriglia. Spasojevic mette le cose in chiaro fin da subito: il cinema è una guerra.
New Born Victims
Sembra che di fronte a questo enorme e mostruoso ingranaggio tutti siano destinati a perdere fatalmente il confronto. C’è un momento dove Milos s’interroga sull’essere vittime e, per tutta risposta, il suo folle regista gli mostra un vecchio video che ha girato. Si vede un uomo sodomizzare un neonato piagnucolante fresco fresco di parto. La donna che ha appena dato alla luce il bimbo assiste all’atto sorridendo con le lacrime agli occhi: è la sequenza più strong del film. Milos e il nascituro sono entrambi pedine ingabbiate in una struttura predeterminata, intrappolati in un gioco in cui l’esito è stato deciso in partenza. Forse una metafora di cosa ci si debba aspettare dall’essere trascinati a tutti i costi in questo mondo. Oppure un resoconto di cosa significhi lavorare nell’industria del cinema o ancora di cosa comporti muoversi in un cosmo gigantesco dove tu sei dannatamente piccolo. Nessuno può vincere, si può solo essere vittime.
NoSignal Magazine è media partner della 10^ edizione del Torino Underground Cinefest