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Opera prima a livello registico per Cord Jefferson e subito un Oscar per la miglior sceneggiatura non originale al suo American Fiction. Un film che racconta con semplice maestria e un pizzico di comicità l’atavico problema della rappresentazione degli afroamericani negli States.

Thelonius "Monk" Ellison (Jeffrey Wright). Fotogramma di: American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment
Thelonius “Monk” Ellison (Jeffrey Wright). Fotogramma di: American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment

L’afroamericano Thelonius “Monk” Ellison è un professore di letteratura all’università e uno scrittore riconosciuto. A causa, però, delle sempre più numerose tensioni con i propri studenti Ellison viene messo in congedo temporaneo per prendersi un po’ di tempo per sé tornando a rivedere la famiglia con cui ha interrotto i contatti da tempo. A peggiorare la già precaria situazione ci pensano gli editori che rifiutano il suo ultimo libro perché, pur riconoscendone il valore, non lo trovano abbastanza ‘nero’. Tornato a casa le cose sembrano precipitare sempre di più e, in una situazione ormai ai limiti del disastro, Ellison si mette a scrivere, nascondendosi dietro lo pseudonimo di Stagg R. Leigh – un afroamericano dalla vita ovviamente turbolenta – il libro My Pafology (che poi vedrà l’effettiva luce con il più laconico e incisivo titolo Fuck), un romanzo che risponde a tutti quegli stereotipi culturali afroamericani che disprezza da sempre nella maniera più assoluta. Il libro, purtroppo per lui, è un clamoroso successo di pubblico e critica e finisce per essere selezionato a un premio letterario a cui Ellison stesso viene invitato come membro della giuria. Le cose per Ellison e la sua famiglia si trovano così a migliorare ma mettono lo scrittore in una posizione che lui stesso, nel proseguo del racconto, faticherà a identificare e accettare completamente.

Thelonius Ellison e Arthur, il suo agente (John Ortiz). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment
Thelonius Ellison e Arthur, il suo agente (John Ortiz). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment

Con il termine blaxsploitation – traducibile con: ‘sfruttamento nero’ – si intende un genere cinematografico, nato e praticamente morto negli anni ’70 ma che ha avuto piccoli revival nei successivi decenni, prettamente diretto al pubblico afroamericano. Questo genere di film presentava gli afroamericani e la loro cultura in maniera piuttosto stereotipata (da sottolineare che la maggior parte dei registi era afroamericana) dando comunque una visione su uno spaccato culturale che veniva spesso e volutamente ignorato: “American Fiction” naturalmente si stacca da questo genere di filmografia ma, ripetutamente, non cessa di mostrare i grossi limiti di uno sfruttamento culturale, molto spesso stereotipato, in cui si crogiolano i bianchi e in cui sgomitano i neri. A fare da ‘mediatore’ in tutto questo – prima non riuscendo ad impedirlo e poi accettandolo con riluttanza – è il protagonista di questo film Thelonius “Monk” Ellison.

Prendendo, infatti, a epitome Thelonius “Monk” Ellison (uno splendente Jeffrey Wright), Cord Jefferson racconta ‘l’identità culturale’ afroamericana tra la percezione che ne hanno i bianchi, che in questo film tocca le note del pietismo e del mea culpa, e quella conflittuale che hanno gli afroamericani stessi, donando al pubblico uno spaccato del reale, seppur iperbolicizzato in molti frangenti, senza tralasciare i freschi toni della commedia che a più riprese dirompono davanti agli occhi dello spettatore.

Thelonius e il fratello Clifford (Sterling K.Brown). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment
Thelonius e il fratello Clifford (Sterling K. Brown). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment

Dall’inizio alla fine del film e ben prima che a Ellison venga in mente di scrivere il libro che farà precipitare gli eventi, Cord Jefferson ci accompagna, nemmeno tanto docilmente, nella vita della complicata famiglia dello scrittore e professore facendo diventare Monk il perno su cui tutto ruota. Ellison, infatti, si troverà coinvolto in più situazioni che dipendono strettamente da ciò che sta facendo attraverso il suo pseudonimo: da quel primo rigurgito di scrittura nato da una reazione rabbiosa, istintiva prenderanno il via una valanga di eventi che, pur facendo capo al libro, sono da ricercarsi ancor più profondamente nel modo in cui si rappresentano e vengono rappresentati gli afroamericani che può essere, naturalmente, estremamente diverso nonostante si possa partire da territori comuni e la cosa risulta quantomai lampante nell’incontro-scontro fra Thelonius Ellison e la sua collega Sintara Golden.

Thelonius Ellison e Sintara Golden (l’eclettica Issa Rae) sono le due facce della stessa medaglia: entrambi sono colti, benestanti, entrambi sono scrittori ed entrambi si trovano a dover affrontare il proprio essere afroamericani in un paese che o non li vede di buon occhio (eufemisticamente parlando) o li guarda sotto la lente dello stereotipo. I due, però, ragionano sullo stereotipo in maniera radicalmente diversa nel rapportarsi al modo di vedersi ed essere visti come afroamericani, dando all’unico vero dialogo fra i due personaggi un’ottima chiave di lettura per l’intero film e per le scelte che farà poco oltre il nostro protagonista: se Thelonius scrive Fuck in un impeto di rabbia, infarcendo la narrazione di tutti quegli stereotipi che egli stesso disprezza, quasi obbedisse a un pasoliniano: «E allora mangia la merda!», Sintara scrive il proprio We’s lives in Da Ghetto raccogliendo testimonianze della vita vissuta da quegli afroamericani che vivono nella miseria e se da quelle testimonianze di vita, per quanto romanzate, i bianchi ne fanno nascere uno stereotipo che finisce per includere una intera comunità non può e non deve essere un suo problema come scrittrice perché non è con l’elitarismo di “Monk” che si possono fare i necessari passi avanti, come capirà e accetterà lui stesso sul finire di questa storia.

Thelonius "Monk" Ellison e Sintara Golden (Issa Rae). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment
Thelonius “Monk” Ellison e Sintara Golden (Issa Rae). American Fiction © 2023 Cord Jefferson/Orion Picture MRC Film/T-Street Productions/3 Arts Entertainment

Il finale di American Fiction sembra volere giocare fino alla fine con lo spettatore e con lo stesso protagonista: all’acme del racconto, quando tutto sembra dover finalmente portare alla luce il grande gioco di finzione che Thelonius Ellison ha contribuito a creare, anche suo malgrado, ecco che tutto si ferma bruscamente e si viene risucchiati in una realtà molto più semplice e che riporta “Monk” in seno a quella blacksploitation da cui tentava di fuggire e che ha sempre criticato. Questi ultimi minuti sono la ciliegina sulla torta di questo film che ha vinto l’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale e ha permesso a chi scrive – proprio grazie all’ultimo quarto d’ora – di assegnare a questa commedia, a questo assurdo dramma cinque stelle su cinque. ♦︎