Skip to main content

Questo 2020 si è concluso con l’approvazione, in Argentina, di un disegno di legge che promuove la legalizzazione dell’aborto, una pratica millenaria che ancora oggi viene eseguita illegalmente e con esiti spesso terribili per l’incolumità della donna stessa. Un enorme passo avanti, compiuto in Argentina, paese d’avanguardia in Sud America, che sancisce il raggiungimento di un grande obiettivo: non solo la legalizzazione dell’aborto, un diritto inalienabile di ogni donna di agire e decidere con autonomia sul proprio corpo, ma anche l’impegno sociale di un popolo che lotta attivamente per i propri diritti civili e non solo in Argentina, bensì in tutto il sud del continente. Il movimento femminista in questi paesi sembra essere il riflesso di un ritrovato impegno civico e sociale, attivo e forte in luoghi dove oggettivamente il ruolo della donna continua ad essere mistificato e sottomesso. Denigrato e violentato, il corpo della donna e le sue istanze, voglie, bisogni, passioni e desideri vengono ancora troppo spesso messi alla gogna e quindi ciò si traduce automaticamente in un movimento, in una protesta sociale effettivamente più forte e anche, forse, più efficace che da noi. Perché allo stesso tempo si potrebbe pensare che, se in Sud America la situazione è ancora così, in Europa sia migliore. In Italia, ad esempio, è dal 1978 che è garantito il diritto all’aborto. Ma è sempre in Italia che, secondo l’Istat, 7 ginecologi italiani su 10 sono obiettori di coscienza.

È da questo dato che inizia la mia riflessione. Mi sono chiesta quali potrebbero essere gli altri indizi, intorno a noi, di questa silente discriminazione, che si nasconde appunto dietro apparenti vittorie che abbiamo ottenuto. Perché siamo stufe di sentirci dire che questa disparità uomo e donna oramai “non è che sia più come una volta”, siamo stufe di dover denigrare le quote rosa, come se fossimo noi donne ad aver la colpa di aver creato questa forzatura al femminile e non, invece, un sistema che, manco a morire, favorisce l’ascesa della donna IN QUALSIASI SETTORE, a meno che non sia OBBLIGATO a farlo. E non è questione di meritocrazia, non solo, perché il fantomatico soffitto di vetro (fate click se non ne avete mai sentito parlare ) esiste e continua a tenerci ben lontane dai ruoli di lavoro dirigenziali, ad esempio. Siamo stufe di dover pagare l’Iva al 22% per assorbenti e coppette mestruali, quando non abbiamo scelto noi di sanguinare una volta al mese per metà della nostra vita. Siamo stufe di doverci giustificare sia se vogliamo truccarmi per uscire, sia se vogliamo tenerci i peli sotto le ascelle: nel primo caso siamo vanitose, nel secondo siamo sciatte. Non abbiamo voglia di sentirci osservate, di vedere che vengono misurate le circonferenze delle nostre cosce e la grandezza dei nostri seni, non solo dai soliti maschi porci, ma anche da altre donne, invidiose se torniamo dal mare con le gambe toniche e abbronzate e esaltate se perdiamo una taglia di seno o mettiamo cinque chili in più. Perché non siamo nemmeno più liberi di ingrassare e dimagrire a nostro piacimento, ci deve essere sempre una giustificazione: depressione, diete, voglia di cambiare, anoressia? E invece probabilmente sono solo cazzi nostri. Siamo stufe di dovere pensare dieci minuti prima di aver pubblicato sui social e per le successive due ore se il contenuto è appropriato: avremo scoperto troppa carne? O troppa poca? Il nostro futuro datore di lavoro potrebbe aver da ridire su una nostra foto in bikini, così come il nostro appuntamento tinder penserà, invece, che siamo meno sexy di quell’altra perché in nessuna foto si vede il nostro culo. Siamo stufe di doverci limitare per paura di essere giudicate. Siamo stufe del revenge porn, del fatto che stiamo crescendo ragazzine che, senza aver ancora avuto una relazione, sono già terrorizzate dall’idea di poter finire in pasto a dei maiali, senza che invece possano sviluppare una sessualità e un rapporto con il proprio corpo sereno, tranquillo e bello, come dovrebbe essere; siamo anche stufe di aver paura di essere licenziate perché inviamo foto di nudo ai nostri partner: la nostra persona viene disprezzata, la nostra professionalità viene messa in discussione se si vede una tetta e non viene invece criticato colui che ha tradito noi e la nostra fiducia. Siamo stufe di sentirci diverse, solo perché non rientriamo negli stereotipi di bellezza predominanti. Siamo stufe dei maschi che continuano a fare le liste, che continuano a fare paragoni, che continuano a preferire A a B, secondo criteri che han deciso loro, mentre la bellezza dovrebbe essere una esaltazione delle differenze: ognuno è bello per le proprie peculiarità e i miei capelli, la mia pelle, la mia statura, il mio peso, la mia figura, la mia persona formano la mia bellezza e siamo stufe di venir paragonate con persone che sono altro rispetto a noi. Siamo stufe di quanto sia importante l’aspetto fisico, come se poi fosse un merito nostro! Nascere con un bel faccino dovrebbe essere l’ultima tra le qualifiche richieste, invece chissà come mai è sempre la prima. Siamo stufe di subire l’opinione maschile, di sentire il loro sguardo giudicante sul nostro modo di porci nei confronti del mondo e sul nostro aspetto fisico, quando a loro non è richiesta nessuna delle qualifiche che è richiesta a noi per essere considerate ok. Intanto, fino a che siamo un divertimento per il sabato sera, se non la diamo facciamo le preziose; quando, invece, si innamorano, sono subito attenti alla lista dei ragazzi che ti sei portata a letto: in Italia il binomio Santa-Puttana continua a dettare legge su ogni nostra azione. Ed è per questo che siamo stufe di dover combattere quotidianamente contro stereotipi e pregiudizi, contro luoghi comuni, contro paragoni fra noi e altre donne. Siamo stufe di dover giustificare le nostre scelte: innamorarsi, voler girare il mondo, fare carriera, mettere su famiglia, legarsi a qualcuno, rimanere sole per tutto il tempo che lo si desidera, fare dei figli, anche senza sposarsi, anche senza un uomo al proprio fianco, farsi chiudere le tube, appassionarsi di cucina, votarsi alla causa dei soli surgelati, rilassarsi stirando, lavorare nel mondo dello spettacolo, diventare Presidente della Repubblica, perdere ore e ore in bagno, non dare la minima importanza al proprio aspetto fisico …

E di una cosa siamo stufe: lottare sempre da sole. Sempre faticare a farsi riconoscere un diritto che sia uno. Perché in Italia sei fortunata se incontri uomini che ti ascoltano, quando fai questi discorsi. In Italia sei fortunata se tuo marito ti aiuta a fare la spesa e qualche domenica decide di fare il “mammo”. Ma in Italia non si è ancora visto un uomo che ci prenda per mano e lotti con noi. Siamo fortunate che non ci diano contro, sarà quindi troppo pretendere che vogliano cambiare con noi?

Noi siamo stufe di dover chiedere scusa di esistere, siamo stufe di dover lottare per diritti che dovrebbero essere nostri per nascita. Siamo stufe di lottare anche per gli uomini (etero, omo, bisex, neutri) perché i diritti che pretendiamo per noi, di riflesso garantiscono uguali diritti a loro. Siamo stufe di dover spiegare che femminismo non è la contrapposizione al maschilismo: che se il maschilismo è uno strumento di repressione sociale, dove il maschio prevarica sulla donna, il femminismo lotta per la parità: parità nel vivere una vita soddisfacente, parità nell’ottenere ciò che mi prefiggo come obiettivo, parità nel poter essere fragile, parità nel poter scegliere chi diventare e chi essere senza dover rispondere a modelli impostimi da altri.

Noi siamo stufe di combatter anche per voi e venire denigrate per questo. Nel 2021 che verrà è questo l’unico buon proposito che mi pongo: smetterla di giustificare voi maschi e iniziare a pretendere un aiuto. Smettetela di santificare vostra madre e dare della troia alla prima donna che passa in macchina. Smettetela di fare i gelosi verso i fidanzati di vostra figlia, quando la notte vendete le foto di nudo della suddetta sulle chat Telegram.

Dimostrateci che anche voi valete la pena.