Ai treni che ci dividono, alle coincidenze che perdiamo, alle mani che stringiamo da lontano.
Il grande Lucio Dalla cantava in una delle sue più celebri canzoni “Caro amico, ti scrivo/ e siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò”. È da giugno a questa parte che vivo, respiro e mi cucio addosso il sentimento della malinconia. Molti la definiscono come “la felicità di essere tristi”, io la definisco come “la consapevolezza di voler così bene a qualcuno tanto da avere un impatto importante sulla tua quotidianità”. Un po’ lungo ma è esattamente ciò che sento. Infatti, provo malinconia quando vedo le persone a me più care, fare le valigie e andarsene. Se ne vanno per costruire il loro futuro o per realizzare i loro sogni altrove. Nonostante sia felice per loro, rimango per dei giorni immobile, ferma sui miei passi come se dovessi reimparare a camminare (“Dovrò soltanto reimparare a camminare”, dice il mitico Calcutta). Passo le giornate con la lacrima nascosta dietro l’angolo, penso a quando ci rivedremo, continuo a guardare le foto in galleria, rileggo i messaggi. Insomma, vivo troppo nel passato quando in realtà la vita mi invita caldamente a vivere il mio presente, senza aggrapparmi a qualcosa che non ritornerà.
Ma invece di soffermarci su questa nostalgia canaglia, perché non poniamo l’attenzione sulla bellezza del sapersi ritrovare? Quel sentimento che si prova quando ci si rivede dopo tre, sei, dieci mesi e ci si rende conto che nulla è cambiato?
Certo, le persone sono cambiate ma l’affetto che le lega è sempre quello. Puro, vero, sincero, autentico. Questo ho provato a settembre, quando dopo tre mesi, ho rivisto una delle mie più grandi amiche a Matera. Si è trasferita lì a giugno per un progetto. Durante il mio viaggio in aereo, guardando fuori dal finestrino, pensavo a come sarebbe stato rivederla, a quanto sarebbe stato ancora forte il filo rosso del destino che ci univa.
La verità è che abbiamo saputo riscostruire la stessa quotidianità anche a centinaia di chilometri da casa, anche a distanza di mesi. Abbiamo riso a crepapelle su un trenino con una guida tutta speciale che ci spiegava particolari non richiesti sulla città, abbiamo passeggiato tra i sassi come se stessimo facendo una delle nostre camminate nelle Langhe, abbiamo condiviso un tramonto come se il mondo si fosse per un istante fermato, abbiamo fatto conversazioni intense sul nostro futuro fino a notte fonda.
Nulla era cambiato perché eravamo state capaci di prenderci cura della semplicità dei nostri piccoli gesti, particolari solo nostri che avevamo saputo annaffiare anche se abitavamo in città diverse ma, nonostante ciò, sempre sotto lo stesso cielo.
Mi è successa la stessa cosa poco tempo fa quando sono andata a trovare un’altra mia amica a Bologna. Sono stata solo 48 ore ma il tempo in questo caso è stato relativo. Ho già capito parecchio in quell’arco di tempo prendendomi il lusso di vivere ogni sensazione, ogni situazione fino in fondo. Durante una conversazione notturna, dopo un aperitivo e del buon vinello in corpo, questa mia amica mi ha detto “sai le persone cambiano ma c’è comunque un rapporto che rimane”. Poi le sue parole si sono fermate perché non sapevano come rendere l’idea. Ha parlato il suo corpo per lei. Ha fatto un gesto con le mani quasi ad indicare un meccanismo che muove un’amicizia o un qualsiasi rapporto. Un meccanismo che può essere nutrito semplicemente grazie ad un bene sincero, alla stima reciproca, ai messaggi inaspettati come “ti ho pensata oggi” o una semplice canzone inviata a metà pomeriggio “se ti va, ascoltala”. Mi ha insegnato che l’amicizia non ha poi bisogno di grandi parole prese dall’Enciclopedia Treccani per essere descritta. A volte bastano due persone, dei tortellini bolognesi e una piazza che trasforma le paure in opportunità.
La semplicità, vestito adatto da indossare per ogni sentimento
In sostanza ho capito, grazie a queste due esperienze ma anche grazie ad altre mie amiche che vivono ad Aosta, a Genova e in altre parti del mondo, che l’arte di sapersi ritrovare è un’arte umile che contiene al suo interno il più grande degli ingredienti: la semplicità. La semplicità di parlarsi davanti ad un caffè o un aperitivo, la semplicità di un abbraccio che ci sa far emozionare, la semplicità di ridere di cuore ricordando i bei momenti passati insieme, al Liceo, in discoteca, in vacanza. La semplicità di mandarsi canzoni, di scrivere e dedicarsi lettere e poesie e immaginare per un secondo che la persona a cui stiamo pensando è proprio lì, dietro quel muro.
Insomma, ho capito, che la distanza non fa paura se abbiamo persone accanto che non ci fanno sentire il ritmo opprimente e ripetitivo del tempo.