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Un’immagine inconfondibile, con trucco ispirato alle drag queen, costumi di piume, cappelli da cowboy e armature, spada inclusa. Un’ascesa preparata per un decennio ed esplosa negli ultimi mesi, con singoli come Hot to Go! e Good Luck, Babe! Chappell Roan è la vittima più recente dell’esasperazione della cosiddetta stan culture, un’espressione che deriva dal termine stan, coniato da Eminem per descrivere i fan la cui ossessione sconfina nello stalking. La stan culture ha prodotto una generazione di celebrità che devono imparare presto a proteggere la propria salute mentale, accettando ondate di critiche da parte di chi non condivide la loro rivendicazione della privacy. Raggiungere un certo livello di fama significa essere sempre fotografati, filmati, registrati, abituarsi a dover fendere la folla, accettare che le interazioni vengano filmate e postate online, influenzando l’opinione pubblica. Un incubo, insomma – un incubo a tutti gli effetti per Taylor Swift, che anni fa ha rivelato come uno dei suoi sogni ricorrenti consista nell’essere fotografata mentre dorme, al punto da trovarsi a sorridere nel sonno, come risposta automatica.

Chappell Roan, pseudonimo di Kayleigh Rose Amstutz, nasce in Missouri nel 1998. Nel 2015, a diciassette anni, firma con la sua prima etichetta discografica, Atlantic Records, che smette di seguirla nel 2020, durante la pandemia. Dopo un breve ritorno in Missouri, si trasferisce a Los Angeles, dove affianca all’attività musicale diversi lavori, passando dal fare la cassiera al lavorare come baby-sitter.

Nel 2023 arrivano il primo album (The Rise and Fall of a Midwest Princess, con l’etichetta discografica Island Records) e il The Midwest Princess Tour, tuttora in corso. Artista eclettica e icona LGBTQIA+, riesce a radunare folle ovunque si esibisca, che si tratti del Governors Ball (dove si è esibita vestita da Statua della Libertà) o del Lollapalooza.

Il successo di Chappell Roan è confermato dai numeri: 3,5 milioni di follower su TikTok, 4,7 milioni su Instagram, e singoli che scalano le classifiche. La sua presenza online, soprattutto su TikTok, ha contribuito a estendere ulteriormente la sua fanbase, che presto ha iniziato a interferire con la vita privata di Roan. Diversi episodi, dallo stalking alle persone che la toccano e la baciano senza il suo consenso in pubblico, fino agli insulti quando rifiuta una foto o un autografo, hanno spinto la cantante a esprimere preoccupazione per la propria sicurezza e per quella della sua famiglia.

Da autentica artista della Gen Z, Chappell Roan ha risposto alle invasioni della sua privacy con video su TikTok e post su Instagram, in cui ricorda a tutti di essere una persona come tante, sottolineando l’assurdità di chi si aspetta da lei una disponibilità continua. Una reazione che ha sollevato critiche da parte di numerosi utenti, i quali l’hanno accusata di ingratitudine, sostenendo che non sia tagliata per fare la pop star. In un post su Instagram, la cantante ha scritto di trovarsi nel periodo della sua vita in cui si sente simultaneamente più amata e più in pericolo: “I feel more love than I ever have in my life. I feel the most unsafe I have ever felt in my life.”

Denunciando la normalizzazione dell’atteggiamento predatorio dei ‘superfan’, ha parlato delle tante interazioni fisiche e sociali a cui è stata costretta, aggiungendo: «Quando mi esibisco (…), sono al lavoro. In ogni altra circostanza, non sono in modalità lavoro».

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Chappell Roan 18 via Flickr © Jason Martin

Oggi sono i social ad aggregare e rafforzare le fanbase, offrendo luoghi di dialogo su tutto ciò che riguarda le celebrità e alimentando discussioni che spaziano dall’abbigliamento scelto per i red carpet alle scelte politiche, passando per le relazioni e le amicizie dei propri idoli. Sono gli stessi strumenti attraverso cui si fruiscono i contenuti a incoraggiare l’ossessività, riproponendo ancora e ancora video e foto dei propri artisti preferiti ogni volta che si fa scrolling. I fan hanno poi la possibilità di entrare nelle vite private delle celebrità, interagendo con loro, chiedendo e ottenendo like, condivisioni e, a volte, persino messaggi. In parallelo, le invasioni della vita privata diventano più pervasive. Sulla rete è possibile tracciare voli, trovare indirizzi o recuperare numeri di telefono dei familiari, come è successo al padre di Chappell Roan. Tutte informazioni che vengono poi diffuse in modo indiscriminato. Anche se questi comportamenti sono comunemente – o almeno ufficialmente – condannati, ci si è abituati a considerarli come una conseguenza della fama. Ridurre la propria accessibilità può costare la carriera: basti pensare a Doja Cat, che nel 2023 ha perso 200mila follower su Instagram dopo aver dichiarato di non amare la propria fanbase, composta da persone che non conosce.

In un’intervista per il Comment Section podcast, Chappell Roan ha accennato alla possibilità di ritirarsi a seguito dello stalking e dei crescenti rischi per la sua famiglia. «Alla fine, è soltanto un lavoro» ha dichiarato al Q with Tom Power podcast, aggiungendo che, nell’industria musicale, chi non si tutela ha successo. Adottare un approccio autoconservativo – che si tratti della scelta di non usare i social, di non firmare autografi o di non prevedere incontri con i fan dopo i concerti – sembra l’unica soluzione per sopravvivere agli estremi dell’adorazione e dello stalking. E se il rapporto con i fan viene incrinato dal tentativo di ridimensionare la propria accessibilità, c’è un problema di fondo. 

Per citare Chappell Roan, sarebbe sufficiente ricordarsi che le celebrità sono random people. Certo, si tratta di persone qualsiasi la cui identità pubblica è costruita in modo da assicurare una visibilità costante e tenere sempre alta l’attenzione degli spettatori.  Ci si potrebbe chiedere se le strategie di comunicazione impiegate per promuovere l’immagine delle celebrità non siano parte del problema, alimentando l’idealizzazione di uno stile di vita non accessibile ai più. Allo stesso modo, viene da chiedersi se il marketing e la sovraesposizione mediatica bastino, da soli, a giustificare l’ossessione, e se i fan non siano in parte responsabili per la deumanizzazione dei loro idoli. ♦︎