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Durante gli scorsi giorni, l’Occidente è stato raggiunto da un’inedita notizia, oltre che del tutto inaspettata ed immediatamente sovrastata dai clamori relativi alla confusa situazione politica nostrana. Le notizie hanno riportato l’arresto della nota leader politica del Myanmar Aung San Suu Kyi e la sua destituzione in seguito all’ennesimo colpo di stato avvenuto nella nuova Birmania. La questione birmana durante gli ultimi anni aveva, però, già destato preoccupazione fra gli addetti ai lavori all’interno dei mercati della ex-Indocina ma, di certo, non molti si sarebbero aspettati un nuovo colpo di stato in quel Myanmar che diede i natali ad una delle più influenti donne asiatiche premiate con il Nobel per la Pace.

Aung San Suu Kyi, eletta nel 2016 come consigliere di Stato del Myanmar ed in grado di mantenere questa carica fino al primo febbraio di quest’anno non fu mai ufficialmente la presidente dello Stato ma ha sempre agito come presidente e guida del partito al governo oltre che come eminenza grigia dell’esecutivo, scegliendo per se le cariche di Ministro degli Affari Esteri e di Ministro dell’Ufficio del Presidente, cariche mantenute ininterrottamente fino alla data del colpo di Stato. Quel giorno, il principale uomo forte del Myanmar, colui che è al comando dell’esercito birmano a partire dalla transazione dello Stato a realtà democratica nel 2011, Min Aung Hlaing, ha messo in atto. con estrema organizzazione e compostezza il golpe, ordinando il carcere e la deposizione da ogni incarico politico per la guida del partito Lega Nazionale per la Democrazia, ovvero San Suu Kyi e per il presidente del Myanmar Win Myint, scelto dalla premio Nobel come presidente ed eletto nel 2018.

Secondo alcuni, alla base di questo golpe militare vi sarebbe il peggioramento delle condizioni economiche della nuova Birmania in seguito alla crisi sanitaria data dalla pandemia da Covid, ma è fortemente probabile che si tratti di formulazioni di comodo e che le cause effettive vadano ricercate altrove. Secondo i dati ufficiali, il generale artefice del suddetto golpe avrebbe agito in questo modo per difendere la democrazia dal momento che le recenti elezioni avvenute nel novembre dell’anno scorso erano state segnate dalla presenza di brogli. Secondo i militari, la vittoria del partito di Myint non sarebbe supportabile da dati concreti e quindi deve essere considerata come nulla; i responsabili, inoltre, essendosi macchiati di gravi colpe nei confronti della Nazione, sono stati assicurati alla giustizia nell’attesa di fare luce sull’accaduto e di presentare un candidato alla presidenza con la maggioranza di voti. È chiaro che se l’accusa di brogli è stata declamata con tanta facilità è per via di una particolare caratteristica della storia birmana, spesso segnata da brogli elettorali effettivi a favore del grande partito socialista del dittatore Ne Win, che guidò lo Stato per diversi decenni.

Vediamo di presentare le principali vicende della Birmania contemporanea fino ad oggi e di capire come queste possano essere ritenute causa dell’attuale situazione in cui versa questo Paese, a suo tempo definito “del quarto mondo” ed in cui i diritti sociali delle differenti etnie qui presenti sono stati trattati tramite l’arte della fucilazione sommaria e della repressione, tutto ciò per il compiacimento ed il silenzio dei leader comunisti e nel nome della “via birmana al grande socialismo di matrice cinese e sovietica”.

La Seconda Guerra Mondiale fu una durissima prova per la Birmania, la quale si vide dapprima sottratta alle forze britanniche all’epoca governanti nel Paese per confluire nel grande bacino di rifornimento dell’Impero Giapponese, in seguito si vide assorbita in toto dal Giappone nel corso del 1943 anche se questi aveva permesso alla Birmania di possedere delle brigate militari con la falsa promessa dell’indipendenza, ovviamente mai nei piani dei giapponesi. Nel 1948 ebbe luogo il primo governo socialista del Paese, costruito come entità politica in aperto contrasto con il precedente governo filo giapponese e con quello inglese, ritornato al potere in Birmania dal dopoguerra fino al 1946. La fine degli anni Quaranta e l’inizio degli anni Cinquanta vide il preponderante controllo di alcune aree della Birmania settentrionale da parte del Partito Popolare Cinese di Mao, mentre nel resto del Paese vigeva una sorta di democrazia finanziata dagli USA, pur con una preoccupante presenza della componente comunista nel Paese. La confusione fra i partiti comunisti e quello antifascista sorto in seguito alla guerra entrarono in una fase di forte compromissione fino al 1958, quando il Generale Ne Win ordinò l’arresto dei principali dissidenti e lo smembramento delle forze comuniste. Tale situazione, che avrebbe dovuto aprire ad una nuova fase democratica, viste le libere elezioni permesse da Ne Win, si risolse in una dittatura di stampo socialista quando nel 1962 il generale non accettò le nuove elezioni e ordinò l’incarcerazione del premier da lui stesso favorito nel 1958. A questo punto Ne Win assunse poteri assoluti, piegò il Paese ad un assolutismo fanatico di stampo maoista, chiuse le università e iniziò ad attuare una serie di provvedimenti isolazionisti, assistenzialistici e socialisti che evitarono alla Nazione il tracollo dei Paesi asiatici economicamente legati alla Cina in Asia ma, allo stesso tempo, chiuse la Birmania in una bolla di degrado economico e monetario, oltre che conferirle i connotati violenti e xenofobi che avrebbe mantenuto fino alla fine degli anni Novanta: le minoranze musulmane, cinesi, i potentati semi-indipendenti del nord del Paese e i buddisti furono perseguitati ed in molte aree vi furono rastrellamenti per decenni a causa di signori della guerra e dell’oppio come Khun Sa, mentre nelle città studenti ed oppositori furono uccisi ed incarcerati a migliaia. Nel 1988, durante il giorno 8 di agosto ebbe luogo la più drammatica ribellione sociale della storia birmana, la 8888. Determinata in grande causa per la svalutazione monetaria, si risolse con la fucilazione di migliaia di civili; in preda al caos nella città di Rangoon, il generale Saw Maung predispose un nuovo golpe e divenne egli stesso presidente fino al 1992.

Proprio in quest’epoca si inserisce la figura di San Suu Kyi, dal momento che nel 1988, dopo vari anni all’estero, fondò la Lega Nazionale per la Democrazia, la quale nel 1989, nonostante la vittoria ai seggi, fu bloccata dai militari e la sua leader, per la prima volta, posta agli arresti domiciliari, pena che ad intermittenza fu obbligata a scontare fino al 2010. Alla fine degli anni Novanta la coercizione militare si allentò ed il Paese si aprì, per la prima volta dagli anni Sessanta, ai supporti stranieri. Alle libere elezioni del 2016, le prime dal 1962 (negate da Ne Win), il partito di Suu Kyi vinse con grande maggioranza e lei stessa scelse il presidente, mentre a lei furono affidati diversi ministeri molto influenti. Non solo il Nobel, bensì molte altre onorificenze e nazionalità vennero conferite alla Suu Kyi a partire dalla sua incarcerazione del 1989 e divenne, con il tempo, il grande simbolo dell’Asia democratica opposta alle dittature di stampo comunista e maoista. Più recentemente, però, molte di queste furono ritirate ed anche la Nobel per la Pace Malala ebbe dure parole per la leader birmana in merito alla drammatica escalation di violenze accadute fra il 2016 ed il 2017 in Birmania ai danni della etnia musulmana dei Rohingya. Secondo alcuni si sarebbe trattato di genocidio dal momento che i militari, con il benestare del partito della Suu Kyi, avrebbero, come accaduto in passato con i ribelli Karen, ucciso e rastrellato i musulmani per tutta la regione del Rakhine. Gli atti di guerriglia fra buddisti e musulmani sono, è bene ricordare, endemici in Birmania e già nel 2012 vi fu una prima ribellione musulmana, seguita da quella del 2017, dove un gruppo di guerriglieri Rohingya attaccò le forze di polizia birmane. La risposta birmana ha comportato poi l’immigrazione di circa 100’000 musulmani birmani in Bangladesh. La leader birmana si è difesa affermando che la sua volontà era quella di espellere ed invitare ad andare via i musulmani, poiché storicamente non bene accetti dalle genti birmane, in maggioranza buddiste.

Anche se i motivi politici che hanno spinto la giunta militare all’arresto la Suu Kyi non risiedono strettamente nella ribellione musulmana, è evidente come i militari abbiano sfruttato il malcontento internazionale nei confronti della Suu Kyi per deporla. Tale situazione, infatti, stava contraendo i mercati e le esigenze economiche del Paese danneggiandone la reputazione nello scacchiere orientale, e si sa quanto la sensibilità per certi temi possa essere oggi strumentalizzata per turpi operazioni che altrimenti sfocerebbero nella violenza. I decenni di dittatura socialista di Ne Win hanno lasciato al Myanmar, anche se sembra di trattare della vecchia Birmania in quanto a politica, lo squallore della cospirazione e del colpo di Stato argomentato tramite la pretesa di ristabilire l’ordine e la volontà democratica. Insomma, per l’Asia e la Birmania nello specifico, siamo di fronte all’ennesimo atroce dono del comunismo sovietico e maoista, in questo caso inteso come sterminazione delle minoranze ostili per poi sfruttarne la resa mediatica a fini politici, capace ancora dopo decenni dal crollo dei comunismi, di fare stragi di governi e Nazioni, sempre e comunque sulla pelle della massa.