Sfioravo con le dita quelli che erano i lineamenti del mio corpo, ne delineavo delicatamente i margini come fossero solchi, insenature e promontori di una natura che nasceva dalle carni.
Mentre le mie dita continuavano in questo perpetuo cammino, ripensavo incessantemente a come questa natura potesse essere plasmata, ridotta e ricomposta.
Il corpo è il solo contorno dell’anima eppure alle volte è difficile da delineare, alle volte fugge e si nasconde. Alle volte l’anima si perde in uno spazio che non sente più suo. Si fa sempre più piccola, scompare fra le linee che ora paiono prendere il sopravvento. Quegli stessi contorni che una volta apparivano come una linea netta, sicura e fedele avevano iniziato a plasmarsi a loro piacimento. Certe volte si avviluppavano con così tanto vigore che la povera anima pareva schiacciata, soffocata.
Le ossa si facevano più sporgenti, i pasti più radi e lentamente tutto diventava piatto. L’anima, si sa, lottava con forza eppure i contorni erano sempre più incerti.
Era difficile capire chi potesse avere la meglio, quello stesso corpo che per tanti anni le era stato così fedele, ora appariva etereo. La soffocava come fosse un macigno.
Si chiedeva il perché: perché mille pensieri le affollavano la testa mentre il vitino si faceva sempre più sottile, perché i segni del denutrimento dovessero infliggere così tanto dolore, perché si sentisse scomparire.
Era un mostro che si nutriva di lei, come quello delle fiabe che ti raccontano da bambini.
Però le fiabe iniziano con “c’era una volta” e finiscono con il principe che salva la principessa. Il mostro scompare sempre in una nube nera.
Anche lei voleva il suo principe, voleva soffocare quel mostro che l’aveva rinchiusa nella sua torre.
Quel mostro che le diceva di mangiare fino a stare male, che l’obbligava a periodi di digiuno, che la teneva incatenata a dolorose bugie. Stupide frasi di convenienza: “non ho fame”, “ho già mangiato”, “oggi non mi sento molto bene”. Le annerivano la mente e le indurivano il cuore.
Alla fine il principe è arrivato, non quello racchiuso in un polveroso racconto del 1300 ma in una veste nuova, rivisitata. Era quella lucina che per tanti anni aveva brillato dentro di lei. Negli ultimi anni si era fatta pallida pallida ma come un fuoco che non si estingue mai aveva ricominciato a bruciare. Forse la fiaba alla fine si è realizzata.
E mentre le sue dita continuavano in quel incessante viaggio sul suo corpo, non sentiva più i muscoli tendersi e la pelle farsi carta velina. Poteva assaporare di nuovo la freschezza di un corpo che era tornato ad essere suo.
I contorni che la spaventavano così tanto ora erano solo una piccola increspatura del suo essere, la sua pelle era macchiata dal ricordo ma nei suoi occhi si poteva leggere la voglia di vivere.