Sono un ragazzo di 25 anni, “un uomo” diranno i più giovani tra voi, “un ragazzino” rimbotteranno i simpatici boomer di quartiere, sono in quell’età della vita dove i sogni dell’adolescenza assumono concretezza e la vita ti si spalanca davanti in un continuo srotolarsi di strade, opportunità e relazioni che a tratti ti spaventano mentre dall’altra ti attirano come lo sbollentare del ragù della domenica dopo un hangover. Ho 25 anni e una pandemia sulle spalle che dapprima mi ha trovato indifferente (sono gli anziani che muoiono e io anziano non sono, cosa potrà mai farmi?) per poi colpirmi a tradimento come una mazzata dietro le ginocchia andando ad infettare i cuori, gli affetti, gli amici fraterni e tutto ciò che sembrava solido. Mi rivolgo poco giornalisticamente a chi sta vivendo la pandemia dei cuori e si rende conto che ciò che ha lasciato il 4 Marzo del 2020 non sarà ciò che troverà a pandemia finita proprio perché questo periodo non è solo una pausa: è una ferita alla nostra umanità. Li sentite i legami logorarsi? Gli affetti sparire senza un saluto? Le porte chiuse delle scuole e degli uffici che sbattono come ingressi di saloon abbandonati? Calatevi nella realtà, non va tutto bene né per il vostro futuro e nemmeno per le vostre relazioni umane, dopo un anno di lotta le cose cambiano e le cicatrici sul volto le abbiamo tutti, inutile atteggiarsi da giovani fortunati di successo: quanto torneremo alle nostre vite ci renderemo conto che non ci sono più, e allora sarà crisi.
Ho 25 anni ma non li ho passati tutti nel piangermi addosso (fortunatamente direi), mi sono lasciato ispirare da chi il dolore lo ha affrontato e superato per poter trovare un senso a ciò che è il pesante ritmo del vivere un cuore colmo di attacchi virulenti. C.S. Lewis non è un eroe come Enea (di cui abbiamo parlato alcuni articoli fa) e nemmeno un fine poeta come R.M. Rilke (visto precedentemente su questi schermi), è un teologo, un marito, un padre e un nonno capace di stare nella vita come pochi altri esseri umani ed è per questo che sarà lui ad accompagnarci oggi. Autore delle Cronache di Narnia, opera che usa per traslare il cristianesimo e i suoi concetti nelle storie dedicate ai suoi nipoti, alla morte della moglie distilla dal suo piangere un libretto che mai come nessun’altro scava le trame del soffrire: “Diario di un dolore”. Non è un manuale del sopravvivere ma un racconto del soffrire adatto a tutti i tempi:
“Tra me e il mondo c’è una sorta di coltre invisibile. Fatico a capire il senso di quello che mi dicono gli altri. O forse, fatico a trovare la voglia di capire. È così poco interessante. Però voglio avere gente intorno. Ho il terrore dei momenti in cui la casa è vuota. ma vorrei che parlassero fra loro e non a me”.
Esiste una descrizione del soffrire più calzante? Lewis ci prende per mano, e non metaforicamente, e ci accompagna con lui nei dolori pandemici di ogni amore finito, di ogni rapporto incrinato, di ogni voce rotta. Egli, come un nonno a noi nipoti ideali, non ha paura di dirci che “la realtà, guardata fissamente, è insopportabile” e che a volte le cure più efficaci passano attraverso qualche potatura, potature che ci fanno gridare al cielo tutto il dolore provato da cui nemmeno il nostro autore è esente. Egli dice: “Che cosa vogliono dire quelli che proclamano: «Non ho paura di Dio, perché so che è buono»? Non sono mai stati da un dentista?”
Ho 25 anni e ho imparato che nella storia del mondo gli anni si contano a partire da un uomo morto per amore e non da un generale al comando di un esercito, che le decisioni non si prendono per ripicca, per disperazione o per vedetta, ma per amore, così come cantato da “La rappresentate di lista” in questo Sanremo a luci ed ombre. Ho imparato sulla mia pelle che un imprevisto in un paese lontano può rovinarti la vita in una sperduta frazione del cuneese ma che, mentre tutto crolla, l’unica capacità che ti rimane intatta è quella di amare, così come racconta nonno C.S. Lewis:
“Amare significa, in ogni caso, essere vulnerabili. Qualunque sia la cosa che vi è cara, il vostro cuore prima o poi avrà a soffrire per causa sua, e magari anche a spezzarsi. Se volete avere la certezza che esso rimanga intatto, non donatelo a nessuno, nemmeno a un animale. Proteggetelo avvolgendolo con cura con passatempi e piccoli lussi; evitate ogni tipo di coinvolgimento; chiudetelo col lucchetto nello scrigno, o nella bara, del vostro egoismo. Ma in quello scrigno (al sicuro, nel buio, immobile, sotto vuoto) esso cambierà: non si spezzerà; diventerà infrangibile, impenetrabile, irredimibile”
Ho 25 anni e ho capito che la pandemia dei cuori, con o senza covid, è un passaggio necessario al vivere e all’essere uomini (o ragazzi, cari boomer di quartiere) in grado di amare “proprio fino alla fine” (Gv 13,1).