Quest’anno appena concluso ci ha portato a ragionare molto al singolare, ponendo al centro noi stessi prima degli altri. Dapprima abbiamo mostrato un forte senso di unità con il mondo esterno, per poi mano a mano dimenticarne l’esistenza. Un esempio facile facile? La guerra in Ucraina. Argomento di punta di tutti i dibattiti privati e pubblici che hanno generato polarizzazioni e dichiarazioni sconclusionate. Inizialmente, massima importanza, dopo semplice reportage per riempire le edizioni dei quotidiani o dei giornali televisivi. Lo stesso vale per la politica interna, sempre edulcorata dalla straordinaria capacità dei nostri politici di cancellare, con un colpo di spugna, tutto quello che si è fatto prima, corretto o scorretto che sia.
Così facendo tutto assume quel sapore agrodolce di già visto, già sentito, eppure il mondo prosegue ugualmente, coperto dalla rugiada della convenienza. Ma queste -piccole- dimenticanze non avvengono solamente nei massimi sistemi della società, ma anche nel piccolo delle relazioni quotidiane. Amicizie ritenute indissolubili che si sfilacciano; capitoli interi che vengono oscurati per il forte dolore che provocano; perdite troppo evidenti per essere coperte dal semplice velo del silenzio.
Adesso siamo qui, di fronte all’armadio, pronti a vivere un nuovo anno. Un anno fresco, misterioso e seducente. Eppure ci ritroviamo con così tanti calzini spaiati che ricordare cos’è l’unità è arduo: noi siamo un po’ come quelle calze, abbandonate alla rinfusa dentro una cassettiera. Sempre alla ricerca del proprio compagno, del proprio Io, della propria personalità.
Insomma, e se dietro questa divisione si nascondesse l’artificio di una unione forse meno evidente ma altrettanto salda? E se dopo tutto questo voraginoso vuoto ci fosse una vera unità dovuta a tanti singoli diversi? Magari scopriremmo un nuovo modo di essere uniti.