I confini del desiderio
Nella mia breve e frenetica vita ho recentemente preso coscienza che non bisogna fare quello che ci piace, ma quello che ci fa stare bene. E spesso queste due cose non coincidono.
Esistono interessi dai quali nascono emozioni che ci intrattengono, ma che durano lo spazio di una risata. In questa riflessione c’è la considerazione che piaceri e desideri siano due realtà ben differenti, sia per natura che per effetto che hanno sulle nostre vite.
Ciò che ci piace ha spesso una radice concreta che nasce da un bisogno: il bisogno di stare con gli amici, di divertirsi una sera, di avere la partita di calcetto ogni giovedì, insomma, di svagarsi un po’. Così ci riempiamo la vita di piaceri (e spesso di bisogni indotti) per sopperire alla richiesta più profonda del desiderio: quella di star bene davvero. Il desiderio, infatti, è qualcosa di più grande, che chiede di essere esaudito per darci benessere e appagamento profondo. Eppure, tendiamo a desiderare così tanto, e così in grande, che finiamo per aver paura di quella distanza che ci separadalla nostra condizione al desiderato che ci farebbe star bene. Così il desiderio, con il suo bisogno essenziale di ciò che amiamo, viene soppiantato da attività che ci piacciono, che ci offrono gratificazioni immediate, colmando solo in parte il vuoto scavato dal desiderio stesso.
C’è una frase di The Tree of Life di Terrence Malick che mi torna spesso in mente: «Sognavo di diventare un grande musicista, non fare come ho fatto io. Mi sono lasciato distrarre. Mentre aspettavi che succedesse qualcosa… quella era la vita! L’hai vissuta. Ho lasciato che una cosa dopo l’altra mi trascinasse indietro».
Accade proprio così: ci lasciamo guidare da piccole gratificazioni quotidiane, perché ci piacciono, ma in questo modo togliamo tempo ed energie a ciò che davvero ci fa stare bene. Molti sogni infranti nascono da questa dinamica: dal non saper distinguere ciò che ci piace da ciò che ci fa davvero bene. Forse perché i desideri più grandi che abbiamo sono sempre imponenti, richiedono dedizione, fatica e isolamento, e questo ci spaventa.

A questo proposito mi viene in mente Pascal che, nei suoi Pensieri, scrive: «Mi sono spesso detto che tutta l’infelicità degli uomini deriva da una cosa sola: dal non saper restare tranquilli in una stanza». Il divertissement, per Pascal, è la strategia con cui ci teniamo occupati per non affrontare il desiderio profondo. È una fuga: rincorriamo piaceri, attività, passioni momentanee (ciò che “ci piace”) e ci allontaniamo da ciò che ci farebbe davvero bene, perché significherebbe guardare in faccia l’abisso del possibile fallimento del nostro desiderio. Forse è vero: preferiamo costruire ogni giorno un castello di sabbia diverso, anziché sforzarci di restare soli con noi stessi e scavare. Scavare, fabbricare mattoni, e costruire finalmente il nostro sogno, un castello di pietra.
Allora forse i veri confini del desiderio non sono addebitabili ad altri, ma dentro di noi: siamo noi stessi a condannarci a fare ciò che ci piace per gratificarci, invece di affrontare ciò che ci farebbe stare davvero, profondamente bene. Canzone consigliata? Bruce Springsteen, Working on a Dream. ♦︎
Illustrazione di Susanna Galfrè