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Lo show-parodia russo, giunto alla sua seconda edizione, è lo spettacolo trash che l’Italia non merita, ma di cui aveva dannatamente bisogno. Sotto la guida sapiente del conduttore Ivan Urgant (Giovanni Urganti, va da sé), il folklore televisivo italiano anni ‘80 fa nuovamente breccia nei nostri cuori.

365 giorni ben spesi, verrebbe da dire. Un’attesa ampiamente ripagata da Ivan Urgant e soci, protagonisti su Pervyj Kanal (il primo canale russo) di una baraonda katchy, volgare e politicamente scorretta per celebrare il capodanno nel migliore dei modi. A pensarci bene, la ricetta è la più vecchia del mondo. Stereotipi a gogo, tette più finte che rifatte, parrucche improbabili spalmate su completi Gucci e pantaloni a zampa d’elefante.

Uno show in bilico tra la perculata e l’omaggio al Belpaese, insieme a cantanti e personaggi televisivi che parlano in italiano con i sottotitoli in russo. Basterebbe questo a delineare il più assurdo degli scenari possibili.

“Musica, ritmo, stile” è lo slogan d’apertura cantato da Ivan Urgant mentre scende la scalinata, contornato da un parterre di soubrette e veline che farebbe impallidire l’intera produzione Mediaset. È il segnale per scatenare un inferno paradisiaco lungo un’ora e un quarto, dall’oggettivazione della donna tipica di quegli anni, fino alla parodia indovinata di Squid Game con il Pinocchio collodiano nei panni della bambola killer.

Le canzoni

A intervallare l’amarcord cringe della televisione nostrana troviamo il vero cavallo di Troia del programma, ovvero le canzoni. Chili di synth spalmati su basi dance, capaci di far alzare i morti in hangover dai divanetti. Parliamo di hit di successo russe rivisitate a tema italiano anni ‘80-’90, con testi che oscillano tra clichè duri e puri e un nonsense dettato più dalla pronuncia che dal tentativo di traduzione. Nonostante l’atmosfera goliardica della produzione nel suo insieme, ciò che si nota fin dal primo ascolto è l’assuefazione creata da ogni singolo brano. Nel mercato italiano da post Sanremo le ritroveremmo all’istante in cima alle classifiche, l’aspetto forse più tragicomico dell’intera vicenda.


Tirando le somme, Ciao 2021 rappresenta nel suo insieme la devozione assoluta a un immaginario collettivo che la televisione italiana – Berlusconi prima e la Rai poi – ha contribuito a esportare oltreconfine. La prospettiva che si ha da fuori non può dunque che essere questa, e chi meglio di noi italiani per comprenderla appieno e trarne fonte di godimento?

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