Il terzo incomodo

Da tempo immemore le elezioni presidenziali americane si riassumono e si ricordano come uno scontro uno contro uno. Biden contro Trump, Trump contro Hillary Clinton, Obama contro Mitt Romney, Al Gore contro George W. Bush, indietro fino a George Washington: i due candidati che, vinte le rispettive primarie del partito repubblicano o democratico, arrivano al voto di novembre per racimolare la maggioranza dei voti del Collegio Elettorale.

Sembrerebbe tutto piuttosto semplice. Eppure, partecipano alla corsa anche altre figure politiche, ovvero dei partiti minori e dei candidati indipendenti, cioè non affiliati ad alcun partito. La partecipazione dei ‘terzi’ non visualizza concretamente un orizzonte vittoria: questo perché le elezioni presidenziali americane sono strutturalmente costruite per favorire invece i candidati legati ai grandi partiti. I partiti democratico e repubblicano sono, già di per sé, avvantaggiati da strutture politiche consolidate a livello nazionale e statale, reti essenziali per la mobilitazione degli elettori, per l’organizzazione di comizi e per la raccolta fondi. Le ‘infrastrutture’ solide sono il risultato di una poderosa base finanziaria, così come una via di accesso facilitata ai media, e a strategie di campagna elettorale sofisticate. Il sistema di elezione presidenziale stesso, cioè il Collegio Elettorale, è disegnato per favorire i grandi numeri dei principali partiti: questi ottengono grandi numeri nel voto popolare di ogni stato, molto più grandi di quelli dei partiti minori e degli indipendenti, e si vedono assegnati tutti i voti elettorali. I ‘terzi’ rimangono così esclusi dal gioco dei voti elettorali, perché è estremamente difficile per loro ottenere grandi numeri al voto popolare. Risultato: non guadagnano nessun voto elettorale dei 270 che servono per diventare presidente degli Stati Uniti d’America.

E allora perché il partito centrista No Labels, il Green Party del medico e attivista Jill Stein, e il candidato indipendente, professore e attivista Cornel West, partecipano alle elezioni? Una risposta possiamo cercarla presentando più ampiamente uno di questi ‘terzi’ della tornata elettorale 2024, quello che spunta in mezzo agli altri: il candidato indipendente Robert Francis Kennedy Jr. Nipote di quel Kennedy, il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti, e figlio di Bobby Kennedy, ministro della Giustizia nell’amministrazione del fratello John e successivamente senatore per lo stato di New York, RFK Jr. –abbreviato con le inziali sui giornali – porta sulle spalle un cognome estremamente riconoscibile, nel panorama politico americano e internazionale. Nonostante la provenienza da una famiglia storica della politica statunitense, RFK Jr. ha iniziato la sua carriera come avvocato ambientalista per le questioni legate alla salvaguardia delle risorse idriche del fiume Hudson, a New York. Debuttare con una carriera professionale nel campo ambientale è da considerarsi all’avanguardia, negli anni ’80 e ’90, quando la sensibilità pubblica rispetto al tema della difesa dell’ambiente e della contaminazione dell’acqua non era assolutamente paragonabile a quella di oggi. Raggiunta una certa credibilità nel campo dell’attivismo ambientale, RFK Jr. espande poi le sue attenzioni sulla salute pubblica, inizialmente coinvolto involontariamente, come racconta, da madri che partecipavano ai suoi discorsi pubblici  sull’ambiente e chiedevano preoccupate di incontrarlo: negli anni 2000 RFK Jr. diventa uno dei più ferventi sostenitori della correlazione – provatamente infondata – secondo cui i vaccini contenenti thimerosal, un composto derivato dal mercurio, abbiano fatto aumentare la percentuale di autismo, e su come i funzionari della sanità pubblica, in combutta con Big Pharma lo abbiano nascosto. È qui che inizia la scalata cospirazionista di RFK Jr., e anche probabilmente il motivo per il quale era conosciuto dalla maggior parte degli americani prima della sua candidatura presidenziale. «Questo è un uomo la cui vita è stata definita dalla sfiducia», dice Astead Herdon del New York Times, dopo aver elencato gli scetticismi di RFK Jr., che variano dall’avvelenamento di massa dei bambini, il sospetto del wireless 5G e del Wi-Fi cancerogeni, fino al sostegno della falsa idea secondo cui gli antidepressivi siano collegati alle sparatorie nelle scuole.

RFK Jr. percepisce la gestione dell’epidemia di Covid, secondo lui carica di «scelte strane» e dalla direzione «molto inquietante per il Partito Democratico» come la propria necessaria svolta politica, la sua chiamata morale a farsi rappresentante di «quei bambini e quei genitori». La decisione di entrare in politica è dovuta anche al fatto che i principali social hanno rimosso la sua organizzazione no-profit Children’s Health Defense per aver violato le linee guida diffondendo disinformazione, aumentando la sua frustrazione «perché non mi era stato permesso di parlare di nessuno di questi problemi di censura totale. Quindi, se mi fossi candidato, pensavo, almeno avrei potuto parlare di questi problemi e affrontarli».

Come sarebbe automatico pensare, tuttavia, RFK Jr. non partecipa alle elezioni come candidato del partito democratico, il partito storico a cui si è sempre affiliata la famiglia Kennedy. Racconta di una sofferenza rispetto a come, soprattutto la pandemia, ha cambiato le ideologie fondanti del patito di «un’età dell’oro perduta», e di come si senta profondamente deluso di come il partito abbia perso i suoi valori iniziali, «i valori di Robert Kennedy, John Kennedy, Frank Delano Roosevelt. » Non inserisco questa citazione a caso: a RFK Jr. piace tirare in causa suo padre e suo zio. Spesso. E non solo con costanti riferimenti nei suoi discorsi. Lo scorso l’11 febbraio 2024, durante il Super Bowl, è andato in onda questo spot pubblicitario presidenziale per la campagna di RFK Jr. All’ascolto del jingle Kennedy-Kennedy-Kennedy- che è arrivato alle orecchie dei 120 milioni di spettatori della partita, le più attente – e soprattutto le più anziane – avranno immediatamente ricordato questo spot: quello della campagna elettorale del 1960, di John F. Kennedy, un senatore del Massachusetts di 43 anni, «old enough to know and young enough to do», che sarebbe diventato presidente. Non è solo il jingle ad essere lo stesso: tutta la pubblicità è una ripresa diretta del memorabile e avvenieristico spot del 1960, solo che al posto delle fotografie di JFK ci sono quelle di RFK Jr. La pubblicità del Super Bowl, pagata 7 milioni di dollari dal Super Pac di RFK Jr., American Values, non è piaciuta ad alcuni membri della famiglia Kennedy e ad altri del Partito Democratico vicini alla famiglia. Già da tempo profondamente in disappunto di fronte alle scelte politiche e di disinformazione di RFK Jr., e con l’allontanamento finale dovuto alla decisione del neo candidato indipendente di abbandonare il partito e sfidare Joe Biden, Raymond Buckley, presidente del Partito Democratico del New Hampshire dal 2007, ha commentato che «vedere la foto di Bobby Jr. sovrapposta a quella di JFK è stato disgustoso. Chi avrebbe mai pensato di fare una cosa del genere? È stato irrispettoso.» Robert Shrum, consigliere di lunga data della famiglia Kennedy ha puntualizzato l’idea di un’appropriazione di un’eredità che RFK Jr. non dovrebbe essere in grado di rivendicare, sfruttare, per la sua agenda politica.

Inquadrato il profilo di Robert F. Kennedy Jr. nel contesto di questa campagna elettorale, e tornando su una visione più globale dei ‘terzi’ candidati, inizialmente a RFK Jr non piaceva che gli fosse chiesto se il suo ruolo nella campagna sarebbe stato quello dello spoiler. Si tratta della pedina del disturbatore, che intacca i numeri dei grandi candidati e diventa potenzialmente un fattore che fa oscillare gli equilibri elettorali dei candidati ‘grossi’, ovvero Trump e Biden. La sua candidatura può nuocere in qualche modo? Può far ‘male’ a qualcuno dei candidati, quelli che contano davvero e che stanno correndo verso la Casa Bianca? Il primo fattore da anteporre alla questione è un grande “vediamo”: RFK Jr è un candidato indipendente, e in quanto tale ha bisogno di un gran numero di firme in tutti i 50 stati – quante firme? Dipende da stato a stato – perché il suo nome sia inserito nella scheda elettorale e possa effettivamente comparire come scelta per gli elettori a novembre. RFK Jr. sembra procedere a gonfie vele sotto questo punto di vista: il suo gruppo dice di aver raccolto firme sufficienti per portare Kennedy al ballottaggio in diversi stati: Arizona, Michigan, Georgia e Carolina del Sud, New Hampshire, Utah, Hawaii e Nevada. Inoltre, il super PAC American Values ​​si rivela pronta spendere fino almeno 10 milioni di dollari in pubblicità, e l’ultima notizia positiva è di martedì scorso, quando RFK Jr ha presentato la sua vicepresidente, l’imprenditrice e super donor Nicole Shanahan, una mossa che ha riportato l’attenzione mediatica sulla propria candidatura e una nuova affluenza di grosse donazioni. Poi entrerebbero in gioco i sondaggi, che alcuni giudicano ancora poco attendibili, ma sembrerebbero già raccontare potenziali brutte notizie per Joe Biden, come ha titolato lo scorso giovedì The Economic Times: «How may Robert F. Kennedy Jr. prove to be the greatest spoiler for Joe Biden? ». Dal canto suo, il Comitato Nazionale Democratico (DNC) sta cominciando a soppesare la situazione potenzialmente pericolosa, e questa settimana ha formato un’unità per respingere i candidati indipendenti e di terze parti e i sostenitori di Biden hanno creato un nuovo Super PAC, Clear Choice ideato ad hoc per dissuadere potenziali elettori di RFK Jr.

E Trump? L’ex presidente, prima della svolta indipendente di Kennedy, lo aveva descritto come «una persona molto intelligente», poiché RFK Jr. aveva suscitato polemiche con commenti sui vaccini e sulla guerra in Ucraina, con argomentazioni care a Trump. Da candidato indipendente – e quindi da avversario di Trump, non più un’alternativa da sostenere per screditare Biden – ha recentemente commento sulla sua piattaforma Truth Social, dipingendo Kennedy come un democratico liberale sotto copertura, e rallegrandosi della sua partecipazione, perché nuocerà a Biden e aiuterà il sup movimento Make America Greagt Again. ♦︎


Crediti immagine: Gage Skidmore from Surprise, AZ, United States of America

Sofia Calvo
Non so descrivermi perché non ho ancora ben capito chi sono, ma nel frattempo ho scoperto un paio di cose: che scrivere è l'unica cosa che mi soddisfa davvero, che amo i giochi di parole e i mercatini dell'usato, e che mi diverte intavolare discussioni facendo alle persone domande stupide, tipo "I serpenti hanno la coda?"

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