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Spesso mi stufavo di essere Me-stesso, quindi guardavo gli altri e mi appropriavo di ciò che di loro mi incuriosiva. Accumulavo gesti, parole, suoni, odori, istantanee di ciò che invece era Altro-da-me e, per proprietà transitiva, più perfetto di me. Legavo quindi il tutto ai miei polsi e alle mie caviglie, ed esso si raggrumava in una molle sfera che mi tratteneva a terra. Mentre l’Altro-da-me spiccava in volo, io mi accontentavo di sprofondare nelle ombre che egli proiettava su di me. Ne seguivo da lontano il cieco cammino, mi crogiolavo nella mia lentezza e mi prendevo cura della mia invidia.

Ecco, più emulavo l’Altro-da-me, più Me-stesso svaniva. Di Me rimase infine solo imperturbabile Invidia.