Skip to main content

Nonostante la sconfitta agli Oscar 2024, un grande traguardo per il regista romano che festeggia i vent’anni di carriera. Ancora una volta sul grande schermo una costante del suo cinema: le realtà che preferiamo non vedere

È il 1979 quando Stuart McArthur disegna una mappa del mondo destinata a restare impressa nell’immaginario collettivo. Il mondo di McArthur non è il solito, quello che abbiamo imparato a guardare: è, invece, completamente all’incontrario. Nella sua provocatoria Universal Corrective Map of the World McArthur invita tutti gli abitanti del mondo occidentale a fare un semplice ma poco praticato esercizio: cambiare prospettiva. Chi decide quali sono nord e sud, sopra e sotto? In un mondo dall’orientamento opposto, con Australia, Isole della Sonda, America Latina e Africa non più nella parte bassa e marginale della cartina, ma ritratte nella parte alta, finalmente protagoniste, McArthur mette davanti agli occhi di tutti l’arbitrarietà dello sguardo europocentrico. Allo stesso modo, è attraverso l’adozione di prospettive capovolte che il regista romano Matteo Garrone si è sempre dimostrato abile, fin dall’inizio della sua carriera, nel ritrarre mondi che lo sguardo occidentalizzato tende a non vedere. Da Terra di mezzo, a Gomorra, fino ad arrivare a Io Capitano, nominato nella categoria miglior film internazionale alla 96° edizione degli Oscar, Garrone è riuscito a portare sul grande schermo, con intensità e realismo, le storie di chi si trova ai margini della società, illuminando con la sua regia schietta e talvolta brutale le zone d’ombra di certe realtà che il mondo capitalista decide di ignorare. Ed è soprattutto con Io Capitano che Garrone mette l’esperienza del suo sguardo a servizio di un racconto dai toni epici che tocca uno dei temi più caldi dell’attualità: l’immigrazione africana in Europa. A rendere il film di Garrone più accurato di altri lungometraggi dallo stesso tema è un’operazione fondamentale: l’adozione di un punto di vista rovesciato, non lo sguardo europeo ma quello africano, attraverso le avventure di due ragazzi senegalesi, Seydou e Moussa. Come in una sorta di controcampo, lo sguardo di Garrone cambia l’angolazione della cinepresa e non ci mostra una cronaca occidentalizzata, ma, anzi, la loro personale versione dei fatti. Lo sguardo occidentale si sofferma infatti solo sull’ultima e più straziante parte del viaggio, coincidente con le traversate del Mediterraneo sui barconi, ma è un viaggio che inizia molto prima, e che Garrone nel suo film rappresenta, a tutti gli effetti, con i toni di un’odissea moderna.

La quest infinita

«L’Europa ci aspetta, diventeremo delle star e sarai tu a firmare gli autografi ai bianchi», è con questa promessa che in Io Capitano Moussa cerca di convincere il cugino Seydou (Vincitore del Premio Marcello Mastroianni alla Mostra del cinema di Venezia) a lasciare il Senegal alla volta dell’Europa. Il film racconta l’evoluzione di questi due ragazzi che, attraverso le prove affrontate durante la rotta lungo il continente africano, compiono un vero e proprio viaggio dell’eroe. Garrone tratteggia una linea netta tra il sogno e la cruda realtà: all’inizio del lungometraggio i due ragazzi hanno un obiettivo, scrivere canzoni per imitare i cantanti che vedono scrollando su TikTok, ma alla fine del loro arco narrativo entrambi se ne dimenticheranno, per far posto a un’esistenza più dura, che non avevano immaginato. «Se volete morire andate» è stato l’avvertimento di un uomo del loro villaggio, consapevole dei rischi che i due protagonisti si sarebbero trovati ad affrontare. Al di là della storia eccezionale vissuta dai due giovani, i sentimenti con cui ha a che fare Garrone sono universali e condivisibili da tutti: il desiderio di evasione tipico della gioventù si scontra con l’asprezza di un paese in povertà che non riesce a fornire passaporti ai propri cittadini se non attraverso metodi illegali. Ha inizio quindi la quest infinita dei due giovani, in cerca di libertà. La crudeltà spietata del mondo reale non lascia spazio a un senso di giustizia che però si conserva dentro Seydou e lo guida all’interno di situazioni che mettono a dura prova il senso morale. Un episodio cardine in questo senso è quello della donna nel deserto: durante la traversata a piedi del Sahara una donna si sente male e sviene. L’unico a fermarsi a soccorrerla addirittura tornando indietro e allontanandosi dal gruppo è Seydou, che tuttavia, nonostante i tentativi, non riesce a salvarla ma è costretto a lasciarla giacere da sola nel mezzo del nulla. Una delle prime prove del viaggio dell’eroe si è compiuta: nella realtà non c’è posto per tutti.

Io Capitano, l’epica contemporanea

Grazie al responsabile dei casting impegnato nella ricerca di attori locali provenienti direttamente dal Senegal, Garrone si è potuto avvalere di un cast che restituisce uno sguardo autentico su quel mondo: infatti i due protagonisti, grazie al loro personale vissuto, sono in grado di trasmettere una naturalezza che traspare sul grande schermo. Non solo ha conservato durante tutto l’arco narrativo la lingua wolof, ma per preservare la spontaneità e favorire l’immedesimazione del pubblico Garrone si è avvalso anche di una tecnica già usata anche in Gomorra: «gli attori non sapevano mai la sceneggiatura completa, ma gliela raccontavo io giorno per giorno sul set», spiega in un’intervista. Mettendo insieme i racconti di tre migranti Garrone ha creato una sceneggiatura che si basa su testimonianze vere. L’Europa è la terra del sogno, la destinazione bramata ma è anche una promessa infranta. Una sottile ironia sulle false speranze del consumismo è giocata attraverso una serie di rimandi nascosti, come le magliette della divisa di calcio del Barcellona, che spesso indossa Seydou. Su queste t-shirt, che appaiono dismesse e consunte, campeggia il logo dell’Unicef, associazione figlia delle Nazioni Unite, che interviene in aiuto di bambini e comunità di alcune aree dell’Africa. Il forte scontro tra il luogo di degrado in cui vivono i personaggi e le promesse di quei potenti che promettono aiuti umanitari provoca un’amara ironia. Durante il loro viaggio attraverso Agadez, crocevia dei trafficanti, il Mali, l’immenso Sahara e la Libia i due ragazzi vivranno le tappe comuni a un viaggio epico, che ha un solo nemico: l’illusione silenziosa del capitalismo esercitata in aree del pianeta in cui non è riuscito a penetrarvi, se non per mezzo della corruzione. Le distinzioni tra le gerarchie invisibili di un mondo diviso sono evidenti durante la tappa a casa del potente sceicco: Seydou, comprato come schiavo, è obbligato a eseguire lavori nella villa di un ricco mecenate, e per la prima volta si trova a percepire il senso di una gerarchia. L’arroganza del potere è resa manifesta dalla richiesta di costruzione di una fontana, simbolo di spreco e opulenza, in un’area in cui l’acqua scarseggia. Come suggerisce anche il finale del film, gli unici che sopravvivono sono solamente coloro, in un mondo ingiusto, che sono capaci di farsi giustizia da soli.

“Io Capitano” di Matteo Garrone
Io Capitano © 2023 Matteo Garrone/Guendalina Folador – Archimede/Tarantula/Rai Cinema/Pathé Films

Il mondo nascosto

L’interesse di Garrone per l’adozione di punti di vista che si allontanano dal privilegio è evidente già dalle sue prime produzioni, a partire da Terra di mezzo, che fu anche il primo lungometraggio che gli valse riconoscimenti importanti. Protagonisti dei tre episodi del film sono alcune minoranze etniche in Italia, impossibilitate a integrarsi e costrette a svolgere lavori umili: dalla prostituzione a lavori in nero. Anche nel film L’imbalsamatore lo sguardo di Garrone si posa su una storia inusuale, con personaggi provenienti da realtà degradanti raffigurati con schiettezza. Con Primo amore racconta con distaccata ironia una storia d’amore dai tratti perturbanti: lei è una ragazza che soffre di anoressia, lui un malato psichiatrico affetto da manie compulsive di controllo.

Il grande riconoscimento del pubblico arriva nel 2007 con Gomorra, il primo adattamento cinematografico ispirato al romanzo di Roberto Saviano. Con Pinocchio il cinema di Garrone prende una svolta più favolistica e per la prima volta si rivolge non solo al pubblico adulto ma anche ai bambini.
L’arrivo nella cinquina degli Oscar di Io Capitano resta, tuttavia, il suo traguardo maggiore, non solo per aver contribuito a sensibilizzare un tema così importante, ma anche per aver rappresentato l’Italia ad un evento internazionale. Il film, protagonista della notte degli Oscar tra i film internazionali, non si è aggiudicato nessuna statuetta, forse anche a causa di alcuni ritardi nella distribuzione USA, lasciando il posto a La zona d’interesse di Jonathan Glazer. Segnalato per aver raccontato la storia nascosta di un mondo che l’Occidente finge di non vedere, con Io Capitano Garrone ha scritto una pagina essenziale benché nascosta della nostra realtà. ♦︎