Il più grande Stato dell’Asia centrale ha festeggiato a maggio i 30 anni dalla sua indipendenza

In un tempo in cui la cronaca è tempestata di notizie su scontri  interetnici e politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze meno tutelate, spesso sfociate in vere e proprie campagne di persecuzione e sterminio, l’udire che vi sia uno Stato che, proprio nel mese maggio appena trascorso, abbia potuto festeggiare i  primi 30 anni della sua indipendenza, vissuti in un’atmosfera di pace e serenità fra le numerosissime etnie che lo popolano, lascia assai stupiti.

Non stiamo parlando, tuttavia, di uno Stato idealizzato e utopico, ma di un Paese realmente esistente. Stiamo parlando del Kazakhstan.
Il più esteso territorio dell’Asia centrale pare, infatti, essere anche il luogo nel quale tutte le etnie e tutte le fedi possano trovare una calorosa accoglienza e dove regni la maggiore uguaglianza fra le diseguaglianze.
Questa affermazione, all’apparenza contraddittoria, è confermata dal modello di governo che si è sviluppato in questo Paese e che ha posto come uno dei pilastri fondamentali della politica e uno dei principali obiettivi da raggiungere quello della parità di trattamento delle diverse culture risiedenti al suo interno, pur mantenendo ciascuna la piena libertà di manifestarsi. Un concetto di convivenza all’interno di uno stesso territorio di etnie diverse fra loro teorizzato anche in campo antropologico, quale miglior modello possibile per permettere la coesistenza delle diversità senza costringerle a un’uniformità piatta di usi, costumi e fedi, e, allo stesso tempo, consentire al governo di imporre leggi di natura generale valide e identiche per tutti i cittadini, evitando la generazione di discriminazioni e razzismi.


Alla sua nascita nel 1991, dopo la scissione e l’emancipazione dall’Urss, questo obiettivo pareva effettivamente un’utopia per lo Stato kazako, considerato da numerosi analisti una vera e propria bomba pronta ad esplodere, un Paese con all’interno numerosissime culture ed etnie diverse, persino dal punto di vista linguistico, quelle che gli esperti chiamano linee di differenza, nel quale la popolazione originaria rappresenta una mediocre percentuale. Non pochi furono, d’altronde, quelli che scommisero su un sicuro scoppio di una guerra civile.
E invece ecco giungere inaspettato il trionfo di un modello di Stato inclusivo e tollerante verso tutte le minoranze, capace di perpetrare un trentennio di pace, armoni e stabilità, con la conseguenza di favorire, anche, lo sviluppo economico e la modernizzazione della società, malgrado le notevoli difficoltà e il forte gap di partenza rispetto ad altri Paesi. Di particolare rilevanza le limitazioni imposte al Kazakhstan durante gli anni novanta dal governo russo, sempre comunque eminenza grigia assai influente sul territorio kazako, impossibile da allontanare del tutto data la vicinanza geografica.
L’ex dominatore sovietico non ha infatti preso bene questa volontà di totale indipendenza e di avvicinamento al mondo occidentale manifestata dal Kazakhstan. Un’opposizione russa al sogno kazako che si è palesata con vari mezzi, fra i quali, tra i più emblematici, la svalutazione della moneta kazaka, il tenge. All’alba della sua introduzione nel ’93, 4,5 tenge valevano 1 dollaro, ma successivamente la svalutazione si impennò, mentre l’inflazione saliva al 75%. Un tentativo di piegare le ali del figliol prodigo da parte della Russia solo in parte pareggiato dagli aiuti provenienti da altre potenze mondiali, in primis gli Stati Uniti, verso le quali il governo kazako si era rivolto per portare avanti le sue mire di rinnovamento.
Già, perché altro pilastro fondamentale della politica di colui che ha di fatto imposto questa svolta evolutiva al Kazakhstan, il presidente Nazarbajev, è proprio stato quello di aprirsi alle grandi potenze mondiali e attirare investitori da tutto il mondo. E malgrado tutte le premesse contrarie, colui che definisce se stesso il padre fondatore del moderno Stato kazako, è riuscito a concretizzare il suo sogno, portando avanti con tenacia il suo progetto, anche se, a detta sua, tutti i suoi compagni di governo erano contro di lui, giungendo a quello che oggi è stato definito da organismi e enti internazionali uno dei migliori esempi di totale inclusione delle differenze. Dunque non solo si è evitata l’esplosione della tanto temuta polveriera, termine assai appropriato se si pensa che il Kazakhstan possedeva uno dei più grandi arsenali atomici del mondo, poi smantellato su pressione degli Stati Uniti, nonostante l’iniziale reticenza a rinunciarvi da parte dello stesso Nazarbajev, data la possibilità di deterrenza che rappresentava.
Ma addirittura sembra che il sogno di creare una Nazione aperta e tollerante verso tutte le diverse etnie si sia concretizzato realmente e abbia permesso anche di rendere il Kazakhstan un esempio ideale da seguire.


Due i principali simboli di questa convivenza pacifica fra differenti culture, l’uno materiale e l’altro politico-sociale.
Nel primo caso si tratta di uno dei monumenti più rappresentativi, nonché attraenti anche dal punto di vista architettonico, della capitale Astana . Stiamo parlando della Piramide della Pace, la quale ospita al suo interno numerosi luoghi di culto delle diverse religioni presenti sul suolo kazako.

Nel secondo caso si fa riferimento ad un organismo che rappresenta una sorta di unicum nel suo genere, l’Assemblea del Popolo Kazako (Assembly of people Kazakhstan APK). Creato nel 1995, l’ente è stato fortemente voluto da Nazarbajev e accoglie al suo interno esponenti di tutte le 130 diverse etnie che popolano il suolo kazako, molte delle quali ritrovatesi in questo territorio a seguito delle deportazioni sovietiche . Nel corso degli anni i suoi compiti si sono espansi, così come la sua influenza in campo politico. Dal 2003, infatti, è stato consentito ad un gruppo di suoi membri di entrare a far parte del governo come rappresentanti dell’Assemblea.
Inoltre in questi ultimi tempi di difficoltà a causa della pandemia, l’APK si è impegnata molto anche a livello sociale nell’aiutare le famiglie più povere e più numerose.
Siamo dunque di fronte ad uno Stato illuminato, quale ci ricordano anche le antiche leggende ad esso connesse?
Certo il modello kazako non è immune da imperfezioni.
Specialmente con la creazione della nuova capitale e il tentativo di renderla una città sempre più ricca e sviluppata, molte risorse sono state destinate ad essa, incrementando negli anni notevolmente il gap con il resto del Paese, più arretrato. Molto profonda è stata per decenni, ed è tutt’ora, la faglia tra la gente che vive nelle metropoli più moderne e quella che abita nelle aree rurali. Ma anche all’interno della stessa capitale la ricchezza è concentrata nelle mani di pochi ricchi imprenditori, mentre vi sono ancora molte famiglie che vivono in povertà, malgrado la situazione stia migliorando negli ultimi tempi. Si è quindi, si, di fronte ad un raro esempio di integrazione etnica, ma la disuguaglianza a livello sociale fa, a sua volta, sentire il suo peso.
La corruzione, in particolare, è stata la grande piaga che ha colpito il Kazakhstan dalla sua indipendenza, accompagnandolo nella sua corsa verso lo sviluppo. Una corruzione così profonda da influenzare anche i suoi rapporti con papabili investitori stranieri, i quali capirono presto che l’unico modo per penetrare nel mercato kazako era quello di propiziarsi i politici e i governatori con l’olezzo del denaro.

Lo stesso presidente Nabarzajev pare non essere stato immune dalla tentazione dei soldi, colpito dalle accuse di aver rimpinguato i suoi conti bancari svizzeri con gli introiti derivanti dal commercio di energia e petrolio, fonti principali di sostentamento dell’economia kazaka.

Presidente che, peraltro, è rimasto in carica fino al 2019, anno nel quale ha deciso di ritirarsi, cedendo lo scettro del potere ad un suo favorito, Tokajev, in una transizione non così democratica. Lo stesso suo lunghissimo governo non può essere definito una democrazia, avendo il leader, da subito, soppresso ogni forma di opposizione, preso il controllo della stampa e dei mezzi di comunicazione e accentrato nelle sue mani i tre poteri, giuridico, legislativo ed esecutivo.

Nabarzajev, d’altronde, non ha mai nascosto la sua volontà di dipingersi come il padre della Nazione, il vero fautore, di fatto, dello Stato kazako. Esemplare per comprendere l’immagine che l’ex presidente ha sempre voluto dare di se, la sua affermazione secondo la quale a lui non servirebbe farsi ergere una statua in suo onore, come fatto dal suo vicino in Tagikistan, essendo il suo monumento la stessa capitale, Astana, città da lui eretta e fortemente voluta come base di lancio per dare inizio alla svolta modernista del Paese, e che, dal 2019, è stata ribattezzata, per volontà del nuovo leader Tokayev, in Nur Sultan, proprio in onore di Nabarzajev.

Ancora più emblematica e oggettiva l’affermazione dell’ex presidente, secondo cui il Kazakhstan non possa essere definito una democrazia, ma che, allo stesso tempo, un governo pienamente democratico non possa nascere dalla notte al giorno la dove a regnare erano in precedenza tutt’altre forme, bensì vada costruito a piccoli passi. Affermazione che può essere considerata giusta o sbagliata, ma che, vedendo le cifre dello sviluppo kazako e i risultati raggiunti dalla politica di Nabarzajev, sembrano dar ragione al leader.
Numeri alla mano, la situazione è andata effettivamente migliorando negli anni, con una ricchezza cresciuta di 21 volte rispetto al 1991.
Dal punto di vista sociale le differenze fra i diversi livelli di popolazione si sono appianate in tempi recenti e, come già sostenuto, il grandioso disegno di pace e armonia fra etnie sembra essere stato portato a compimento in tutto il Kazakhstan. Lo slogan sotto il quale si è riunita online il 28 aprile l’Assemblea del Popolo del Kazakhstan è più che mai rappresentativo in tal senso: 30 years of working towards peace, unity and harmony (The Astana Times, 29/04/2021).
Inclusione e apertura sociale che non hanno riguardato solo le minoranze ma anche le donne, le quali possono vantare una percentuale discretamente alta di partecipazione nella vita politica. Da non dimenticare, infine, i progressi a livello sanitario, culminati con la realizzazione di un vaccino anti-Covid autoctono.
Anche dal punto di vista economico sono stati fatti passi da gigante. Nel 2019 si è arrivati all’obiettivo fissato di privatizzazione delle aziende, con un importante ingresso di denaro nelle casse dello Stato e la possibilità di diversificare maggiormente l’economia. Il governo kazako non è, infatti, rimasto a guardare illudendosi di poter contare all’infinito sui due principali pilastri della sua economia, settore alimentare e settore estrattivo. Specialmente per quanto riguarda il secondo, pur essendo uno dei maggiori produttori di petrolio e uranio (l’Eni ha nello stato kazako il principale fornitore), il Kazakhstan sta cercando di cavalcare la transizione energetica nascente per non farsi trovare impreparato in futuro. Inoltre si sta cercando di potenziare anche l’industria delle sempre più richieste terre rare.
Altro cavallo di battaglia sul quale il governo kazako ha puntato già dai tempi di Nabarzajev è il settore della logistica, e il progetto prevede la risistemazione delle vecchie strade che uniscono i vari centri abitati e la realizzazione di nuove vie e ferrovie che permettano di viaggiare rapidamente lungo tutta l’immensa estensione incontaminata del Paese, in larga parte ancora disabitato, data la bassa densità di popolazione.
E non potrebbe che essere questo il principale progetto per uno Stato che sa di possedere le caratteristiche di Paese transnazionale, collocato esattamente al centro dell’Asia e attraversato dal fiume Ur, vero spartiacque fra Occidente e Oriente. Il sogno kazako è quello di diventare il principale hub per lo scambio fra Est e Ovest, sogno, anche questo, che si sta realizzando con l’adesione del Kazakhstan a vari progetti, tra cui la “Via del lapislazzuli” e la “Via della seta”.
Sin dalla sua indipendenza il Kazakhstan ha puntato, peraltro, molto sul creare rapporti forti e positivi con i suoi vicini, dalla Russia alla Cina ai paesi turcofoni, come dimostra la sua appartenenza alla stessa Assemblea dei Paesi turcofoni, della quale Nabarzanev è recentemente stato nominato membro onorario poiché fortemente voluta da lui. Ma la capacità di stringere rapporti favorevoli non si è limitata ai soli Stati limitrofi, essendo il governo kazako abile nello stringere accordi con svariate potenze internazionali, dalla Turchia, con la quale mantiene rapporti di lingua e cultura, agli Stati Uniti, passando dall’Unione Europea e fino ai più recenti tentativi di colloquio con l’India di Modri.
Una certa abilità negoziale, si potrebbe sostenere, la quale ha permesso al Kazakhstan di svilupparsi economicamente senza, all’opposto, diventare eccessivamente dipendente di questi ben più potenti partners.
Non sarà, dunque, una democrazia perfetta. Forse non è neppure esatto definirlo tale. Ma il modello kazako, lasciando parlare le cifre, pare stia dando i suoi frutti a piccoli passi.
In un tempo in cui le divisioni interne alle popolazioni che vivono sul medesimo territorio e la degenerazione dei governi, anche dei più democratici, verso forme sempre meno liberali, sembrano farla da padrona, persino nei Paesi più sviluppati e in un tempo nel quale gli Stati in cerca di un proprio sviluppo e una propria autonomia paiono privi di speranze, affossati dalla brama di sfruttamento ed egemonia delle Nazioni più ricche e potenti, la storia del Kazakhstan giunge quale raggio di luce a trafiggere questo fosco panorama.
La speranza è che la sua costanza nel rincorrere i propri sogni e il suo esempio possano essere emulati anche da altri Paesi che partono dalle sue stesse condizioni e che questa mentalità volta all’apertura e al dialogo fra diversi si possa diffondere anche la dove la democrazia si è instaurata da molti, troppi anni, e ora pare aver smarrito i suoi veri valori.

Emanuele Ligorio
Laureato in economia, con un forte interesse per la storia e la geopolitica. Gran appassionato di arti marziali, escursionismo, corsa, bici e dedito allo sport a tempo pieno. Il resto della giornata lo dedico, oltre che al lavoro da impiegato, agli altri miei hobby, la lettura, la scrittura e la cura del frutteto di famiglia. Se vi state chiedendo come fanno a bastarmi 24 ore per fare tutto...la risposta è che non mi bastano.

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1 Comment

  1. […] Neppure un anno è trascorso dalle celebrazioni in Kazakhstan per festeggiare l’anniversario dell’indipendenza. Celebrazioni di cui si era parlato anche su questo magazine . (https://nosignalmagazine.it/kazakhstan-terra-illuminata/) […]

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